giovedì 23 luglio 2009

NO AL RAZZISMO ISTITUZIONALE


Reato di clandestinità, istituzionalizzazione delle ronde, prolungamento dei tempi di detenzione per “accertamenti” fino a
180 giorni nei CIE (i Centri di Identificazione ed Espulsione, che hanno sostituito i CPT), necessità del permesso di
soggiorno per tutti gli atti di stato civile, permesso di soggiorno a punti (che si potranno perdere sulla base di valutazioni
discrezionali dell’autorità di polizia), idoneità abitativa per il cambio di residenza e registro per i senza fissa dimora:
queste alcune delle caratteristiche principali di una legge che porta il nostro paese al primo posto in Europa per
razzismo istituzionale. In contrasto con quanto previsto dalle convenzioni internazionali e dalle direttive comunitarie, si
introduce come regola la detenzione “amministrativa” dei richiedenti asilo.
Per gli immigrati privi di permesso di soggiorno non sarà più possibile riconoscere un figlio, avere accesso alle
cure mediche senza il rischio di essere denunciati ed espulsi (con gravi conseguenze anche per la salute pubblica di
tutti), rivendicare la retribuzione per il lavoro prestato o poter denunciare situazioni di caporalato e di lavoro in
nero, e neppure iscrivere i figli a scuola, sposarsi, inviare soldi a casa.
E per essere privati del permesso di soggiorno, tanto più con la crisi economica in corso, anche se si è “regolari”, è
sufficiente perdere il lavoro, essere licenziati e diventare così “clandestini”, dato che la legge Bossi – Fini lega il
permesso di soggiorno al contratto di lavoro.
Viene poi costituito un diritto penale speciale per sanzionare situazioni di conflitto sociale. Va in questa direzione la
reintroduzione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, che costituirà una potente arma per mettere sotto processo
qualsiasi persona, italiano o straniero, che abbia comportamenti interpretabili come offensivi per l’autorità.
Il “pacchetto sicurezza” è solo l’ultimo passo di una politica verso i lavoratori migranti fondata sul ricatto e sulla paura,
nel clima di un’ossessiva propaganda intesa a individuare nei migranti il nemico, che ha prodotto effetti anche tra
lavoratori e settori popolari e che la crisi economica e sociale aggrava ulteriormente. E se le orrende parole d’ordine della
destra xenofoba e reazionaria riescono a fare breccia in una società che si vuole più intollerante e incattivita, i gruppi
dirigenti del centrosinistra non sono esenti da responsabilità: basti ricordare che la legge Turco-Napolitano (1998) è
quella che ha istituito i CPT, che il secondo governo Prodi non ha cambiato di una virgola la legge Bossi-Fini, e infine le
recenti dichiarazioni di esponenti di primo piano del PD, come Fassino, Chiamparino o Rutelli, di comprensione se non di
plauso verso la politica dei respingimenti verso la Libia operata dal governo Berlusconi.
Si vuole poter utilizzare una forza lavoro usa e getta, con la condanna dei migranti al ricatto permanente, ad
accettare ogni forma di sfruttamento, ostacolandone percorsi di lotta e di organizzazione collettiva; si vogliono
dividere artificiosamente i lavoratori tra migranti e nativi, determinando così il peggioramento delle condizioni di
vita, di lavoro e salariali per tutti.
E’ quindi importante cogliere la connessione tra razzismo istituzionale, sfruttamento dei migranti, licenziamenti e
peggioramento di vita per tutti i lavoratori.
Vogliamo contrastare insieme, lavoratori italiani e migranti, la “guerra tra poveri” che si vuole scatenare per
poter meglio colpire tutto il mondo del lavoro. Infatti, quanto più saranno ricattabili i lavoratori migranti, tanto
più lo saranno anche i lavoratori italiani.
Noi proponiamo quindi, non solo alle sinistre politiche ma anche a quelle sociali e sindacali, di progettare una campagna
unitaria e prolungata contro il razzismo e la crisi: una campagna che rappresenti un punto di vista alternativo, per invertire
la tendenza alla demoralizzazione e cercare di strappare qualche risultato.
COSTRUIAMO COMITATI UNITARI CONTRO IL RAZZISMO E LA CRISI

domenica 19 luglio 2009

Seconda Conferenza Nazionale Sinistra Critica: I Testi


Si terrà dal 6 all' 8 Novembre a Bellaria (Rimini) la seconda conferenza nazionale di Sinistra Critica. Una conferenza nazionale che è già iniziata nelle discussione territoriali, tematiche e nazionali che hanno contribuito a eleaborare i testi che il coordinamento nazionale ha varato Sabato 11 luglio e che pubblichiamo di seguito. Una conferenza non rituale, che vogliamo vivere a pieno sia al nostro interno che all'esterno, ponendo al centro del nostro dibattito il tema concreto della costruzione della sinistra Anticapitalista al tempo della Crisi.



il testo politico e il regolamento sono stati approvati all'unanimità, il testo analitico con due astensioni.
per qualsiasi informazione, contributo, richiesta, si puo' contattare la commmissione nazionale attraverso la mail danilocorradi1@virgilio.it, il sito ospiterà tutti i contributi al dibattito, e gli appuntamenti di discussione.

mercoledì 15 luglio 2009

Besancenot, la nostra sinistra. L'esempio francese e la sinistra del futuro.


Besancenot, la nostra sinistra. L'esempio francese e la sinistra del futuro. Olivier Besancenot dialoga con Flavia D'Angeli. Pag. 128, euro 12,00.

La sinistra francese è in movimento e Olivier Besancenot ne rappresenta il volto più dinamico e interessante. La sua formazione politica, Il Nuovo Partito Anticapitalista, sta riscuotendo consensi inaspettati e Besancenot è indicato dai francesi come l'esponente di sinistra più convincente per contrastare la destra. Questo libro ripercorre le tappe che hanno portato alla nascita dell'Npa, e presenta per la prima volta in Italia Besancenot attraverso un intervista con Flavia D'Angeli. I due hanno la stessa età e danno vita ad un comnfronto sull'attuale fase del capitalismo globale e su quale debba essere la sinistra del futuro.

Autori:



Olivier Besancenot è il giovane dirigente del Nuovo Partito Anticapitalista, recentemente nato sulle ceneri della Lcr francese. Ha 34 anni ed è stato due volte candidato alle elezioni presidenziali, nel 2002 e nel 2007. Ha da poco guidato l'Npa alle elezioni europee. Pur svolgendo un ruolo di primo piano nella politica francese, continua a lavorare alle Poste.

Flavia D’Angeli ha 35 anni. Nel 2008 è stata candidata premier per Sinistra Critica dopo una lunga esperienza politica in Rifondazione comunista e nei movimenti sociali, dalla Pantera al movimento no global. Laureata in Lettere è un’insegnante precaria.


Puoi acquistare il libro anche direttamente e riceverlo a casa con spese postali a nostro carico, con versamento sul ccp n. 65382368 intestato a Edizioni Alegre società cooperativa giornalistica, Circonvallazione casilina 72/74 00176 Roma, specificando nella causale il titolo.

NON SIAMO SULLA STESSA BARCA COI PADRONI


Un crollo senza precedenti del Pil (oltre il 5%), centinaia di migliaia di persone rimaste senza lavoro, una cassa integrazione che massacra i redditi dei lavoratori: è la drammatica realtà che Berlusconi cerca di negare dichiarando che tutto va bene (per lui e i suoi compari) .

E la Fiat non contenta della cig imposta ai suoi dipendenti vuole ridurre il premio di risultato dai 1200 euro degli anni scorsi ad appena 500 euro. Vergognoso attacco, a cui i lavoratori hanno già risposto massicciamente con lo sciopero e i cortei fuori dai cancelli.

Lo scandalo dello scudo fiscale
Il governo di fronte a una evasione fiscale di oltre 100 miliardi ogni anno, risorsa enorme che potrebbe garantire salari e pensioni decenti, non solo ha concesso nuovi sgravi fiscali ai padroni, ma sta per passare ogni limite con il cosiddetto scudo fiscale, (cioè uno scudo di protezione totale per coloro che non hanno pagato le tasse portando i soldi all’ estero, 500 miliardi). In cambio di pochi soldi prepara un condono tombale che premia evasori totali e bancarottieri fraudolenti. Contemporaneamente cerca di alzare l’età delle pensioni delle donne a 65 anni nel pubblico impiego come primo passo per imporlo a tutte le lavoratrici. E’ una vergogna!

Serve una risposta forte a partire dalla difesa del contratto nazionale di lavoro per l’occupazione e il salario dei lavoratori.
Per questo è importante sostenere la piattaforma della Fiom per il contratto; una prima linea di difesa e un primo passo per affrontare le ristrutturazioni industriali dell’autunno. Bisogna ricostruire il punto di vista degli interessi dei lavoratori che sono contrapposti a quelli dei padroni. Guai ad accettare l’idea che siamo tutti sulla stessa barca, che si può remare insieme proprio mentre vogliono farci annegare.
Occorre sconfiggere il tentativo padronale di distruggere definitivamente la contrattazione collettiva, utilizzando la complicità di Cisl e Uil e Ugl , la cui piattaforma, frutto dell’accordo separato di gennaio, sposa gli interessi del padronato; scelte che portano alla liquidazione della stessa democrazia e rappresentanza dei lavoratori e delle lavoratrici.

Ieri e oggi
40 anni fa cominciò l’autunno caldo, la lotta che conquistò un grande contratto e che cambiò i rapporti di forza nel paese imponendo lo statuto dei diritti dei lavoratori.
I tempi sono cambiati e sono assai difficili, ma dobbiamo avere il coraggio di ricostruire l’unità di tutte le lavoratrici e i lavoratori, italiani e migranti, lavoratori a tempo indeterminato e precari, per far pagare la crisi a coloro che l'hanno provocata, banche e padroni.

Oltre alla piattaforma per il contratto di categoria, serve una piattaforma unitaria di tutta la
classe lavoratrice per
 forti aumenti salariali e il salario sociale per i periodi di non lavoro, la difesa delle pensioni pubbliche;
 il divieto dei licenziamenti e la nazionalizzazione delle imprese che licenziano;
 una vera lotta all’evasione fiscale e una patrimoniale che colpisca le grandi fortune;
 un intervento pubblico massiccio, con piani per la costruzione di case popolari, ristrutturazione di scuole e ospedali, sviluppo di trasporti pubblici e energie rinnovabili, sviluppo dei servizi sociali per tutti.

martedì 7 luglio 2009

Ricostruzione sociale dal basso





Un altro mondo è ancora possibile!



Dall’8 al 10 luglio 2009 si riunirà di nuovo il vertice dei cosiddetti G8.
A L’Aquila!

Non ci siamo dimenticati di Genova 2001, delle violenze inaudite e gratuite, di quei giorni in cui furono sospesi tutti i diritti civili, dentro e fuori dalle piazze, dentro e fuori dalle caserme, dentro e fuori dagli ospedali.

Non ci dimentichiamo di Carlo Giuliani.

In quei giorni coloro che si sono autodefiniti “i grandi della terra”, elaborarono il nuovo credo della globalizzazione liberista che avrebbe dovuto garantire profitti a quanti avessero saputo approfittare del nuovo capitalismo transnazionale e della mondializzazione.

La delocalizzazione delle produzioni ha garantito profitti e speculazioni sui lavoratori sottopagati, sfruttati e precarizzati.
Welfare e diritti, conquistati in decenni di lotte e rivendicazioni sono stati smobilitati.

I beni comuni – acqua, cibo, conoscenza, salute – sono stati mercificati a beneficio dai grandi possessori di capitali mondiali.

Il capitale globale ha proposto di investire i surplus nella finanza, realizzando denaro dal denaro, e non più dal lavoro. Ha così costruito una “architettura finanziaria globale” che avrebbe dovuto consentire, ai governi consapevolmente complici, di armonizzare ogni situazione di difficoltà e di inasprimento delle disuguaglianze sociali.

Rispetto alle “promesse” del G8 di Genova, il bilancio è impietoso e la parola che risuona in tutto il Pianeta è una soltanto: crisi.

Questa è la crisi più grave degli ultimi 80 anni che ha prodotto:
• milioni di lavoratori disoccupati,
• chiusura di aziende,
• ristrutturazioni selvagge,
• crescita esponenziale del debito pubblico e diminuzioni del Pil,
• impoverimento diffuso delle persone, ovunque,
• distruzione dell’ambiente, crisi climatica ed energetica,
• l’acuirsi della guerra con politiche di riarmo assurde che sottraggono fondi ai servizi sociali.

I profitti della globalizzazione hanno incrementato il divario tra Nord e Sud del Pianeta, consentito speculazioni formidabili sull'ambiente e sui beni primari (a cominciare dall'acqua), imposto politiche di privatizzazione generalizzata.

I governi, approfittando del senso di paura e di smarrimento delle persone puntano a scaricare sui migranti, attraverso misure sempre più razziste e xenofobe, il fallimento delle loro politiche.

I profitti della globalizzazione non hanno placato la fame e la sete nel mondo.

Per la prima volta nella storia dell'umanità, il numero di uomini, donne e bambini che soffre di malnutrizione ha superato il miliardo.
Dopo essere decresciuta per 30 anni, la fame è tornata prepotentemente a crescere nel 21° secolo.
La crescita di questo ultimo anno è particolarmente impressionante, cento milioni in più nell’arco di dodici mesi. Non si tratta di cattivi raccolti o di sovrappopolazione, ma della crisi economica, che ha ridotto le paghe e fatto perdere il lavoro a molti.
La crisi silenziosa della fame, che colpisce un sesto dell'umanità, pone un serio problema alla pace e alla sicurezza mondiale.

In Africa il 73% delle terre coltivate sono a rischio desertificazione, e in Italia il 21% del territorio nazionale è esposto alla stessa sorte (soprattutto Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna).

Sono circa un miliardo le persone colpite dalla siccità in oltre cento Paesi nel mondo.
Si calcola che da qui al 2020, oltre 60 milioni di persone potrebbero migrare dalle zone desertiche dell’Africa sub-sahariana verso il nord- Africa e l’Europa.

Nel mondo una persona su quattro, 1,6 miliardi di persone, vive ancora senza accesso all’energia elettrica.
La crisi finanziaria rischia di avere un ulteriore effetto negativo per i poveri del mondo che non hanno ancora accesso alla luce e all'energia elettrica oppure che non possono più permettersi di pagarla.
Non sono certo i agrocombustibili (l’industria degli agrocombustibili è la principale causa dell’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli su scala mondiale) nè il nucleare la soluzione che si sta globalmente profilando.

L'obiettivo dei G8, come sempre, è quello di rilanciare le politiche di un liberismo senza regole e che ha già mostrato gran parte del proprio fallimento.

Le politiche neoliberiste dei G8 globalizzano la povertà, distruggono l'ambiente e impongono un nuovo ordine mondiale economico, politico e militare.
È questa la globalizzazione che contestiamo.

Contestiamo inoltre la scelta di svolgere il G8 a L’Aquila, territorio terremotato e militarizzato da mesi, in cui sono stati già eliminati il diritto di spostamento, di riunione, di informazione, di gestione del proprio tempo e del proprio spazio anche intimo.
Si sta utilizzando L’Aquila come uno spazio in cui sperimentare un modello di gestione e di controllo non democratico delle persone e di superamento dell’autonomia politica delle istituzioni locali.

Facciamo appello alle Associazioni, alle Reti, ai Movimenti, ai Sindacati, ai Partiti, alle persone e a quanti concordino con queste considerazioni per promuovere un percorso di Ricostruzione Sociale dal Basso nei tempi e con le modalità che insieme ci daremo.




Primo appuntamento:

mercoledì 8 luglio 2009

dalle ore 10 alle ore 18
presidio di informazione e controinformazione in Piazza Castello a Torino

alle ore 21
incontro pubblico sul tema della crisi economica e finanziaria, del lavoro e della precarietà (Centro di incontro C.so Belgio 91 - Torino).




Voglia di Futuro
Medicina Democratica
Cantieri di Pace
Il Girasole
Forum Ambientalista Piemonte
Comitato NO-TAV Torino
Coordinamento Comitato Notangest
Fiom CGIL Torino
Rete 28 aprile nella CGIL per l’indipendenza e l’utonomia sindacale Lavoro e Società area programmatica nella CGIL
Sinistra Critica
PRC Federazione Provinciale di Torino
PRC Chieri- Cambiano
PRC-SE Gruppo consiliare regionale
Ecologisti uniti a sinistra - SE Gruppo consiliare regionale
Comitato politico regionale PRC
Sinistra Democratica Gruppo consiliare regionale

Il conflitto sociale non si arresta!



I 21 arresti che questa notte hanno colpito altrettanti studenti sono un chiaro tentativo d’intimidazione e provocazione a poche ore dall’inizio del G8 e a pochi giorni dalla chiusura estiva delle università. Un provvedimento repressivo che ha tutta l’aria di una “vendetta”politica per il grande movimento autunnale e un avvertimento per il prossimo anno accademico, quando gli effetti dei provvedimenti della Gelmini si abbatteranno materialmente sui bilanci degli atenei e soprattutto nelle tasche degli studenti e delle studentesse, come già l’aumento delle tasse proprio nell’ateneo di Torino sta a dimostrare. Come Sinistra Critica esprimiamo la massima solidarietà attiva contro chi vuole ridurre il conflitto sociale a un problema di ordine pubblico. Liberi Tutti/e subito!

Da Vicenza alla manifestazione a l'Aquila: volantino e agenda contro il G8


Contro il G8 della Crisi

Il G8 che si terrà a L’Aquila dall’8 al 10 luglio è il G8 della crisi. I grandi si riuniranno ancora una volta per constatare i disastri che le loro politiche stanno producendo in tutto il mondo. Le ricette di tutti i “piani anticrisi” approvati in questi mesi hanno avuto un unico grande obiettivo, quello di riempire con i soldi pubblici le casse e i bilanci delle banche e delle grandi imprese aumentando il debito pubblico e tagliando contemporaneamente servizi e salari. Queste politiche spacciate come necessarie per salvare l’economia, stanno salvando solo i responsabili della crisi, il prezzo da pagare si chiama disoccupazione, precarietà e povertà. A L’Aquila ci sarà una nuova puntata di questa tragica farsa.

La scelta Berlusconiana di dirottare il G8 a L’Aquila rappresenta infatti, il tentativo di dare un volto “umano” a un’istituzione antidemocratica e illegittima e alle sue politiche. Ma la realtà vale di più delle operazioni d’immagine, e la popolazione aquilana sta comprendendo che dopo tante chiacchiere e interviste televisive, Il governo sta facendo delle promesse di questi mesi pura carta straccia. I soldi per la ricostruzione non ci sono, le case di legno neanche, ma la speculazione immobiliare è pronta a ripartire

Berlusconi è riuscito a tagliare 7 mld alla scuola e all’università pubblica, a tagliare l’Ici sulle ville di lusso, ha regalato soldi alle imprese tra cui spiccano i 3mld per “l’operazione Alitalia”, ha regalato tassi d’interesse agevolati alle banche, per non parlare dei costi per opere inutili e dannose come gli inceneritori, il ponte sullo stretto o la Tav, a cui si aggiungo gli 8mld di euro spesi per 125 caccia eurofighter! Tutto mentre il governo continua ad accusare i migranti dell’insicurezza sociale al fine di fomentare un razzismo di stato capace di mascherare le scelte politiche e i reali conflitti sociali.

E’ per questo che oggi riteniamo fondamentale costruire un’alternativa sociale e politica alla crisi economica e alle politiche del G8, unendo le lotte e i soggetti sociali colpiti dalla crisi intorno a rivendicazioni comuni. Le mobilitazioni che si terranno a partire dal 4 luglio dalla manifestazione di Vicenza contro l’allargamento della base Dal Molin, passando per il forum del 7 sulla ricostruzione e le azioni organizzate nei vari territori, per concludere con la manifestazione nazionale del 10 luglio a L’Aquila, sono un primo passo per costruire questa unità.

Casa e reddito per tutti/e …
A partire da L’Aquila!

mercoledì 1 luglio 2009

POESIE DI GIANNI MILANO



POESIE LETTE DURANTE LA CENA DEL 27/6/2009 DI SINISTRA CRITICA

ATTENDENDO L’INTERNAZIONALE

Ho atteso con maniche rimboccate ed il ciuffo sulla fronte
che passasse, trionfale e commossa, l’Internazionale
a levare di colpo i coperchi dalle pentole del diavolo.

Ho atteso che tutta si ricamasse la notte e la luna offrisse the
e pasticcini alle fontane di Torino e sempre, anche se tardi, ho disposto
le orecchie sui viali per sentirla arrivare, l’Internazionale dei sogni d’agosto.

Ho atteso assorbendo residuate melodie dalle finestre di civetta
che, almeno, s’annunciasse di lontano con sintomi e presagi
il senso della nuova storia a venire, l’Internazionale del fare all’amore.

Da tempo albeggia
e non è mai mattino.

1984


1° Maggio


In questo spaccato del mondo,
in questa fessura del tempo,
il 1° Maggio infantile attizza la vita
nelle nervature in attesa.

Bambini di latta smaltata,
con secche rotonde movenze,
sotto il pendolo rintanati,
bambini con guance di collirio
ed occhi di smeriglio luminoso, cavalcano –

cavalcano locuste
cavalcano grilli
cavalcano coccinelle
sfilando per la Città.

Solo ai grulli la persiana è chiusa,
per gli altri le mammelle debordano
dai davanzali assieme ai gerani stupiti, e saltano –

saltano le locuste
saltano i grilli
saltano le coccinelle
nell’arena di cipria dorata.

Sfondano con agile nonchalance
l’immane il glorioso il lucido
cerchio di prosciutto,
l’OdiGiotto rappreso in letizia.

Solo ai grulli la persiana è chiusa,
per gli altri è domenica,
domenica di rivoluzione.

1977

A una bambina
Impara a dipingere
fiori, nuvole,
bellezze varie,
ma anche i manifesti,
perché senza giustizia
non basta, per volare,
la bellezza delle ali.

1979


Oscar

Oscar dai baffi bruni, in una bolla di vetro opaco,
lievemente sospeso sul selciato,
santo di barriera alle sette di mattino.

Mentre la nuvola al di sopra dell’Asilo
s’ingrigia e s’adagia sul sofà del cielo – il cane
si scansa flemmatico
annusando nell’aria una storia d’amore –
ippocastani immobili come ussari in pensione
tra di loro sorseggiano tazzine di pettegolezzi,
scodellandosi gli uni agli altri minutaglie
di passeri, cuori con le ali, fragili come la pioggia –
un cappello di carta, la rapida
coreografia della foglia che cade.

Oscar dai baffi bruni, con occhi d’onice brillante,
alla piazza concede uno sguardo,
una pietà operaia con cirri d’Internazionale.

Sgrappola il fumo tra il lacrimoso e la sciarpa,
quando la porta s’apre
e ritaglia nel buio un buco di calore,
un’aspirazione tentatrice
di grappa e caffè nel covo degli specchi –
e là si posa la metafora del sapere
e la ruga s’allenta
ciondolando sul giornale in un’altalena d’emozioni stente –
mentre ad arco
la voce della ragazza dietro al banco lucente
s’incontra
col sornione complimento
del vecchio gatto grigio ronfante.

Oscar dai baffi bruni, che trattiene nella memoria
profili di pugni sollevati
in una festa equamente divisa tra il rosso e il nero
dell’inverno,
attraversa lo spazio,
come una poesia, come un flusso grumoso
d’epopea e di sogno,
Oscar dell’oggi operaio in tuta
e di ieri anche promanazione, passo leggero e preciso:
dove l’attende il drago?

Oscar dai baffi bruni, saluta
con sofferenza agli angoli del vedere
le accosciate presenze degli amici al caffè,
e subito l’agguanta
un abbaiare di freddo, una bestemmia
fumata via dal naso, una ridda
di vegetali tentazioni, ultimi spasimi degli alberi,
ultime dita che segnavano il ritmo del tram
scampanellante.

Oscar dai baffi bruni, che incarna il pastrano
rivoltato,
l’altra faccia della storia,
che si specchia in spiccioli di vetro,
e si lava le mani in lavandini a conchiglia,
orinando contro gli alberi,
bofonchiando saluti, Cincinnato manovale
con la fronte a ragnatela.
Che ogni giorno è la prova,
il muro color del chi se ne frega
là davanti,
con inferriate e mosche morte, qualche petalo secco
di geranio e il guardiano in divisa
dove naufraga il volto
e rimane l’azzurro,
una macchia incisiva
che controlla
all’entrata.

Ha l’aspetto d’un vecchio cane prossimo a finire
e grintoso
e non cede e trattiene con la saliva
delle gengive afflosciate
la sua caparbia volontà di vivere –
Manifattura Tabacchi, avvolgente amore odiato,
che sta
e sbarra il flusso,
l’ipotesi dell’avvenire,
il volo ascendente di Oscar dai baffi bruni,
il ricciolo barocco della bandiera rossa.

Oscar dal mattino nebbioso – Oscar dalle mani in tasca
Oscar della barriera – Oscar dell’oltre-ferrovia
Oscar del cicchetto al bar – Oscar della grinta indolente
Oscar per tutti dai baffi bruni
pronto a bollare la cartolina
e a incidere di minuti suoi
la pelle rugosa del drago
mentre fuori le lampade si spengono
e solo i pensionati osservano il cielo
in attesa che qualche superiore disegno
concluda in un applauso il quotidiano spettacolo.

Torino, Regio Parco, 1980



Quartetto del disamore
1.

Le erbe arrugginite
sul greto della Dora stanno in guardia.

Al comando di Boudienny,
sull’attenti, consumano la linfa –
e talvolta un’amara acqua di fogna
le avvolge,
sentinelle dell’ultima riva,
le abbandona
con vinti e corrosi cimeli.

Fanno la guardia all’alba –
piccoli topi s’annidano nell’alba.

Si stringono in sciarpe di nebbia
e l’unica stella che sigla l’assunto
su una vuota struttura di vuoto
s’insedia –
la Mole è ad un tiro di sputo
ma eoni di tempo le vietano il fiume:
dov’inerte si consuma un manifesto
rosso
di Vladimir Il’ic Lenin, serigrafato,
senza sonoro,
senza messaggi da scagliare
nel brivido dell’inverno
ov’ìlare e tragica ruota
la vecchia donna dai capelli strinati,
contratta in geolitici strati di scialli
ad insultare il mattino
che illumina la storia
della sua randagità.

Compagne! All’erta!


2.

Al fumo!

senza arrosto
dove bruciano le speranze della tuta blu
che il mattino spalanchi occhi di sole
e le fabbriche ronzino con stecchini tra i denti
producendo oltre al pane anche un bouquet di rose
un frinfrinin da niente che solletica il riso
e t’accomoda il ritorno
l’acciaccarsi sul tram nell’ora della diaspora.

In via Lassalle quest’oggi non giungono i pompieri
a smorzare gli ardori d’un camino irruente.
Ci ha pensato il padrone stringendo
per il collo con due dita accurate
il gozzuto pretendente al mattino solare.

Giù, nell’umida oscurità del capannone!
Giù, sul cemento del pavimento sporco
a scaldarsi le mani col fuoco della stufa
dove bruciano e arricciano e stridiscono un poco
i volantini del tempo degli scioperi fruttuosi!
Oggi è giorno di clava. La pioggia cade.
Il fumo devia violento. Da via Lassalle irrompe
sulla schiena del fiume, imbizzarrisce un attimo,
nitrisce e s’inabissa con sbrendoli di carta
che non sanno più dire.


3.

La falce e il martello
appesi al cancello –
sdruciti tutti:
lo sciopero è fallito.

La pioggia cancella
il martello –
rimane la falce:
malinconia di luna calante,
di volto magro e stranito alla Hulot.

Di colpo il mattino
starnuta:
un volo di passeri
si frantuma.

Gli operai riprendono il lavoro.


4.

Dalle montagne del tempo
la Dora trascina
detriti di sogni operai
avvolti in compatte lenzuola
di foglie gialle – e piove.

Ma c’è del canagliesco
nello scheletro della poltrona
che ondeggia, saltella, si squassa
prima d’essere ingoiato dal ponte
e risputato, poi, come residuo tra i denti –
la bambola sbucciata affiora qualche volta
nel biondo dei suoi capelli
e il cielo la mitraglia
di gocce ostinate.

La Rivoluzione accorata
dipinge sugli argini del fiume
SII PROTAGONISTA
VIENI CON NOI.


Torino, Lungodora,



Dialoghetto sull’ombrello che ripara dalle sventure
Secondo te, è il padrone che fa il servo od è il servo che fa il padrone?”
“Non saprei… così, su due piedi…e poi questi termini d’una volta… padrone…servi…!”
“Li trovi forse superati?”
“Ma non lo sai che il mondo cambia? Non siamo più nell’ottocento! Sveglia!… Oggi ci sono gli ‘imprenditori’, che hanno fatto i soldi per merito loro, perché sono svegli, intelligenti…”
“Chi te l’ha detto? La televisione? Quella che tu paghi perché ti convinca che le mie domande sono superate?”
“Ma dai! Siamo mica più nel medioevo!”
“E qui ti sbagli. Il tempo fa il suo mestiere, va avanti, ma i rapporti sociali, gira e rigira, non sono cambiati, e tu ne sei un esempio. Ti ho fatto una domanda. Non hai risposto. Hai svicolato. Preferisci non vedere, non sentire, non dire… Perché?”
“Lascia perdere che adesso abbiamo la crisi e devo darmi da fare per arrivare alla fine del mese, altro che!…”
“Tu fai questa vita, se vita si può chiamare, e non ti interroghi sulle responsabilità. Come tanti altri. Come troppi. Tu sei in crisi, altri ne sono la causa ma non hanno problemi di fine mese. Però questo è un problema che non ti passa per la testa. Dici che sono quelli che governano a dover risolvere la questione, quasi che fosse un episodio di passaggio…”
“Ma non è così? Siamo in democrazia oppure no? Noi eleggiamo qualcuno a governarci…”
“Bravo furbo! Tu deleghi ad altri la gestione della tua vita e di quella dei tuoi figli. Credi di decidere ma non puoi, solo lamentarti puoi, brontolare… Il governo decide e tu ubbidisci. Come lo chiami questo rapporto? Aspetti, come quando eri bambino, che ti dicano cosa devi fare e chiami tutto ciò democrazia, governo della gente. Peccato che la gente, di fatto, subisca o speri di cambiare la sua vita delegando ad altri, e ad altri ancora, il proprio destino…Mi sembra una strana ipotesi di libertà e di maturità!”
“Mi stai confondendo le idee. Credevo che il massimo di democrazia consistesse nella libertà di votare ed invece tu…”
“Invece io ti chiedo ancora: è il padrone che fa il servo od è il servo che fa il padrone?”
“Ed io ti rispondo che mi pare una domanda fuori posto, di quelle provocatorie che non aiutano il progresso ed il lavoro dei governanti…”
“Allora?”
“Allora niente. Rispondi tu se lo sai…”
“Ti rispondo perché me lo chiedi ma dovresti tu fare uno sforzo, un ragionamento approfondito. Non farti mai indirizzare da altri. Pensa con la tua testa e infòrmati. Comunque… Vediamo un po’! Il cosiddetto ‘padrone’ ha proprietà, soldi e potere. Il cosiddetto ‘dipendente’ ha fatica, rischio, ed un magro ed instabile salario. Come è arrivato un uomo con due gambe e due braccia, come noi, ad avere tanta proprietà da potere esercitare comando sugli altri? Mi dirai che magari l’ha ereditata. Certo. Può essere. Ma tu, io, non siamo padroni, non abbiamo ereditato niente. Perché? Di certo qualcuno l’ha accumulata, questa proprietà. Una volta magari con la forza, poi, in seguito, con il lavoro altrui, quello dei tuoi, miei antenati. Ma qui c’è un problema. Se i nostri antenati sono stati con il loro lavoro capaci di produrre così tanta ricchezza com’è che noi non abbiamo ereditato niente e non siamo come i padroni? Ti sembra giusto? A me no. Ma allora perché continuare a vivere nella precarietà, noi che sappiamo lavorare mentre il padrone no? Di tutta la ricchezza che i vecchi in tempi andati e noi ai tempi d’oggi produciamo quanto ci è toccato? Ragiona, amico mio. La risposta puoi dartela da solo…”
“Eh ma lui, il padrone…. è roba sua…. ci dà il lavoro…”
“Prova un po’ tu ed i tuoi compagni ad incrociare le braccia. Vedrai dove andrà a finire la ricchezza di cui parli. Il tuo padrone probabilmente non sa nemmeno farsi da mangiare… Ne parli, del padrone, come se fosse, non lo so, uno che appartiene ad un altro mondo ed ha solo diritti, anzi i diritti non deve neanche sudarseli perché qui da noi sono morti giovani e non, sui monti, per realizzare quella che chiamiamo democrazia, addirittura hanno difeso con le armi le macchine utensili in fabbrica… Ma lui, il padrone, è uno come te e me. Che cos’è questo atteggiamento di ubbidienza e di accettazione! Magari muori bruciato e lui, il boss, ha il coraggio di dire in tribunale che non capisce la lingua… Dentro di te, immagino, mentre ne parli, fai un inchino, pieghi la schiena, svendi la tua dignità e, assieme, la tua libertà. Non te ne accorgi ma questo atteggiamento moltiplicato per migliaia e migliaia di persone non fa che rendere più forte il padrone ed anche la dipendenza. Non te ne accorgi ma ti comporti come se fosse naturale essere servo, come se fosse naturale che qualcuno decida della tua vita…Non te ne accorgi ma copi il padrone in famiglia, con tua moglie, con i tuoi figli. Dai piccoli pretendi obbedienza, ma non hai tempo per offrire gentilezza, ascolto, tenerezza. Deleghi tutto questo alla scuola, molli tuo figlio a scuola, incrociando magari le dita, sperando che il bambino comunque segua il suo destino e poi, colmo dei colmi, paghi anche gli insegnanti con le tasse, che tu le tasse le paghi sempre, te le trattengono sullo stipendio o sul salario…”
“Forse, forse…hai ragione… Non ci avevo mai pensato, per lo meno in questo modo. Il padrone, il presidente, il capo sono intoccabili, ma è vero che siamo noi ad avere costruito il piedistallo ed ora subiamo, brontoliamo e diciamo che non c’è niente da fare…”
“Qualcosa la stai già facendo. Pensi, ed è importante. Io non voglio decidere al posto tuo. Non ho neanche un tempo di vita così lungo per vedere eventuali cambiamenti ma ritengo che siccome la vita è mia, e nessuno verrà a morire al mio posto, tocchi a me decidere che farne. Mi sforzo da sempre di non essere servo, e nemmeno padrone, ma non c’è problema… I miei nonni erano emigranti e mio padre carrettiere…Vedi un po’ tu!”
“Credo di avere la risposta. In effetti è l’atteggiamento servile che dà ad un altro il potere di comandare e sfruttare…”
“Amico mio, questo nostro dialoghetto prendilo come un ombrello che non risolverà tutti i problemi ma ci riparerà almeno da alcune sventure, la più grave delle quali è d’essere responsabili delle sofferenze altrui, è di plaudire a chi risponde picche alle richieste di soccorso e di aiuto, menefreghisti squallidi, apprendisti-padroni senza dignità… Facciamoci gli auguri. Mi stringo, c’è posto anche per te sotto il mio povero ombrello!”


Aubert e Angélique



Se ne andava gioviale tra le nuvole a cavalcioni della sua ghironda.
Il cavaliere Aubert, signore della musica e della danza, dopo una ricca bevuta insieme ad amici e musicanti, diveniva leggero e saliva, saliva… In cielo saliva, dove vanno le note, le parole d’amore e di amicizia.
Così stanno le cose tra coloro che nutrono speranza.
Mentre in tal modo vagolava, quasi si scontrò con Angélique che, assorta, le gambe penzolanti, sedeva su una nuvola rosata. Angélique lanciò un trillo, acuto. Non di spavento ma di sorpresa. Pensava d’essere la sola capace di cavalcare le nuvole ed invece…
I due si intesero ben presto.
“Sono Aubert. Piacere…”.
“Sono Angélique. Il piacere è mio…”.

La storia potrebbe concludersi come tutti i finali di favole.
Aubert ed Angélique ebbero tanti bambini, rotondi e giocherelloni.
Divennero vecchi e, quando giunse il momento, si fusero con l’aria e solo negli arcobaleni o nei fulmini li si intravide ancora.
Ma così non fu.

Aubert e Angélique scoprirono di avere molte cose in comune.
Lui suonava e danzava, lei cantava e distribuiva sorrisi.
Per questo motivo decisero di diventare coppia, di condividere i loro giorni.
Li si vide insieme durante le feste, sull’aia o nelle stalle. Luci nel buio di vite dure.
Non si seppe mai dove fosse la loro casa. Di certo perché nessuno avrebbe loro creduto se avessero spiegato che riposavano tra le nuvole, dalle quali scorgevano quel che sotto accadeva.
E fu così che scoprirono come la festa durasse un solo giorno mentre diffuse erano invece la violenza, la sopraffazione, l’ignoranza e la bruttezza. Videro con sgomento i roghi sui quali donne e uomini morivano tra le fiamme, le forche con scheletri pendenti. Udirono lamenti e pianti disperati tra contadini e operai sfruttati mentre alle corti dei signori e dei principi, nelle case dei mercanti, il lardo, gli sghignazzi si sprecavano.

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Tale è la differenza di vita tra i pochi potenti ed i molti oppressi che Angélique si commuove mentre Aubert ha un moto di rabbia e la sua ghironda emette un singhiozzo profondo.
La bella dalla voce dolce comprende che v’è un momento per l’allegria, uno per la consolazione ma anche uno per la rivolta.
“Ci vogliono parole che aprano strade nuove, per tutti”, confida ad Aubert e questi sente nascere in sé una musica strana, forte, ruvida, che mescola ritmi diversi, che sceglie d’essere estranea al mondo del potere.
Il lamento del bordone fa da sfondo e da lì si distaccano, come voli improvvisi di corvi, brandelli di suoni, che accompagnino la gente nella neve quando rifiuta l’ubbidienza, che battano sulle spalle alla coppia che ha messo al mondo un figlio, libero, si spera…
Di certo Aubert ed Angélique trascorsero il loro tempo, come tutti, come quelli che avevano scarpe rotte e ruvidi letti per la fatica.
Forse si fusero con l’aria, ma negli arcobaleni o nei fulmini li si scorge ancora.
Sempre si ha l’impressione di udire la loro musica durante i cortei operai o le rivolte contadine. Sempre si ha l’impressione di scorgerli in capo a un tavolo con amici di età diverse, bere vino rosso, ridere e cantare. Ed allora le mani si stringono, la volontà si rafforza, il cuore batte più forte.
Come diceva un poeta musicista, non ebbero bisogno di avere figli propri perché avevano adottato gli esclusi della Terra e nelle storie narrate vivono ancora, non cesseranno mai.

Dalle nuvole ai campi.
Così, in realtà, finì la loro storia: la storia di Aubert e Angélique che suonarono e cantarono per donne e uomini liberi e sicuri.
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Chi è Gianni Milano?

Gianni Milano è nato a Mombercelli, terra di Barbera scuro, il 14 giugno del 1938. Non è più di primo pelo, dunque. Poeta e pedagogista, dopo aver lavorato per oltre quarant’anni con bambini e adolescenti, dopo aver scritto versi a partire dai 16 anni, dopo essere stato protagonista dell’eretico movimento pauperista che va sotto il nome di ‘underground’, dopo aver pubblicato raccolte di poesie, saggi di pedagogia e libri di educazione tribale, Gianni sente il bisogno di raccontare ancora storie metropolitane. Dall’anagrafe risulta che l’autore risiede a Torino dal 1942. È un immigrato, dalla campagna. Trasferito in un borgo, San Paolo,che allora era quasi villaggio, vive il suo apprendistato alla vita, tra speranze, rabbie, delusioni, sofferenze. “Ma” diceva nonna Palmina “se fa male, fa bene, fa crescere”.
Altri scrittori narreranno dello stillicidio di morte dei giorni attuali, purtroppo. L’oblìo, quando è intenzionale, sporca. L’umanità non apprende.