sabato 28 marzo 2009

Sinistra Critica non farà parte della "lista comunista"


Sinistra Critica non farà parte della "lista comunista"
Troppa continuità e i testimonial sono gli ex ministri. Sullo sfondo c'è la fusione Prc-Pdci

Dichiarazione di Salvatore Cannavò

Sinistra Critica non farà parte della lista "comunista" promossa da Prc e Pdci. Le ragioni sono semplici. Avevamo proposto una lista anticapitalista della sinistra di classe che presentasse alcuni elementi di discontinuità con il recente passato, fatto di errori e sconfitte, della sinistra comunista.
Una lista che avesse una simbologia rinnovata, seppur riconoscibile, con candidature espressione del conflitto sociale e dei movimenti, con un codice etico per i candidati e le candidate, con una visibile alternatività al Pd e al centrosinistra italiano a partire dalla rimessa in discussione della politica di alleanze locali.
Questo purtroppo non è stato. La lista si colloca invece in continuità con la storia di Pdci e Prc la cui prospettiva di fusione è resa più forte da questa intesa. E la continuità è esplicitata anche rispetto al centrosinistra e ai suoi governi con una lista che ha come testimonial di riferimento gli ex ministri dei governi Prodi e D'Alema.
Non è questa la strada per ricostruire e rinnovare la sinistra di classe in Italia. Non è questa la strada che Sinistra Critica ritiene utile per rilanciare, al tempo della crisi globale del capitalismo, una sinistra coerentemente anticapitalista, radicata nel conflitto sociale e nei movimenti, indisponibile ai governi con il Pd e il centrosinistra, aperta alle istanze e ai desideri delle nuove generazioni. Domani, domenica 29 marzo, si terrà il Coordinamento nazionale di Sc per decidere le modalità di partecipazione alle prossime elezioni europee.
Già decisa, invece, la presentazione di liste alle amministrative, ovunque sia possibile, chiaramente alternative, al primo e al secondo turno, al Pd e alle sue coalizioni.

mercoledì 25 marzo 2009

La crisi la paghino banchieri, padroni, evasori



CUB - SdL intercategoriale - Confederazione COBAS -
GARANTIRE LAVORO, REDDITO, PENSIONI, CASA, SERVIZI PUBBLICI, BENI COMUNI DIFENDERE OGNI POSTO DI LAVORO E IL DIRITTO DI SCIOPERO
28 MARZO: MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA
Ore 14.30 - Piazza della Repubblica

Sono migliaia le aziende che chiudono e centinaia di migliaia i licenziamenti, ma il governo foraggia industriali e bancarottieri, cioè i veri responsabili della più grande crisi economico del dopoguerra.

I lavoratori sono lasciati in balia della crisi, la cassa integrazione copre in minima parte, e solo per alcuni, la perdita di salario, centinaia di migliaia di precari vengono mandati a casa senza alcun reddito, si vorrebbe portare l’età pensionabile delle donne a 65 anni, crescono gli sfratti, si fomenta il razzismo contro gli immigrati: e, per impedire che ci si organizzi per difendere salario e diritti, il governo vorrebbe vietare scioperi e manifestazioni conflittuali.

Mobilitiamoci a sostegno della piattaforma del Patto di Base Blocco dei licenziamenti. Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Aumenti consistenti di salari e pensioni, reddito minimo garantito per chi non ha lavoro. Aggancio dei salari e pensioni al reale costo della vita. Cassa integrazione almeno all’80% del salario per tutti i lavoratori/trici, precari compresi, continuità del reddito per i lavoratori “atipici”, con mantenimento del permesso di soggiorno per gli immigrati/e. Nuova occupazione mediante un Piano per lo sviluppo di energie rinnovabili ed ecocompatibili, promuovendo il risparmio energetico e il riassetto idrogeologico del territorio, rifiutando il nucleare e diminuendo le emissioni di CO2. Piano di investimenti per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e delle scuole, sanzioni penali per gli omicidi sul lavoro e gli infortuni gravi. Assunzione a tempo indeterminato dei precari e re-internalizzazione dei servizi. Piano di investimenti pubblici per il reperimento di un milione di alloggi, tramite utilizzo di case sfitte e ristrutturazione e requisizioni del patrimonio immobiliare esistente; blocco degli sfratti, canone sociale per i bassi redditi. Diritto di uscita immediata per gli iscritti/e ai fondi-pensione chiusi.

In occasione della riunione dei Ministri del Welfare del G14 che si terrà a Roma a fine marzo, CUB, COBAS e SDL, assieme a tutte le forze sociali e di movimento che si battono per non pagare la crisi, hanno organizzato una grande manifestazione nazionale.

28 MARZO 2009 ROMA - P.zza Repubblica ore 15

M A N I F E S T A Z I O N E N A Z I O N A L E

Lavoro/ Sinistra critica presenta in Senato pdl su salario minimo



di Apcom
Raccolte 70mila firme, "ora il Parlamento discuta proposta"
Roma, 25 mar. (Apcom) - Una proposta di legge di iniziativa popolare è il sistema scelto da Sinistra critica, uno dei movimenti nati dalla diaspora di Rifondazione comunista, per 'rientrare' in Parlamento: stamattina una delegazione di Sc è stata ricevuta dal vicepresidente del Senato Vannino Chiti per presentare la proposta, firmata da oltre 70mila persone in sei mesi di campagna politica. Sc propone l'introduzione di un 'salario minimo intercategoriale' di 1.300 euro mensili e la reintroduzione della scala mobile. La proposta legislativa depositata in Senato e stata già trasmessa alla Commissione competente e i rappresentanti di Sc l'hanno illustrata nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Madama. Sinistra critica, ha spiegato l'ex deputato Salvatore Cannavò, ha chiesto alla presidenza di Palazzo Madama "di rispettare l'impegno all'apertura alle forze extraparlamentari., Noi non abbiamo elemosinato spazi ma abbiamo seguito la legge, raccogliendo le firme sulla pdl di iniziativa popolare. Ora chiediamo che venga discussa e che i promotori vengano ascoltati in audizione dalla commissione Lavoro: è lo stesso percorso che sta seguendo Beppe Grillo per le sue proposte di legge". Nel corso dell'incontro, precisa una nota del Senato, il vicepresidente Chiti ha espresso il suo personale apprezzamento per il lavoro svolto dagli uffici del Senato per la verifica del disegno di legge di iniziativa popolare e l'auspicio che sui contenuti del provvedimento si possa aprire un ampio confronto tra le forze politiche.

martedì 24 marzo 2009

Il nuovo numero di Erre


E' uscito il nuovo numero della nuova serie di ERRE. Una rivista tutta nuova, a colori con nuova grafica e formula. Qui di seguito l'editoriale di Salvatore Cannavò e in allegato il sommario. ERRE la potete trovare in libreria oppure chiedere a Edizioni Alegre, C.ne Casilina 72, 00176 Roma (tel. 0645445002). Per abbonamenti (25 euro o più per sei numeri): ccp 65382368 intestato a Edizioni Alegre, soc. coop. giornalistica C.ne Casilina 72, 00176 Roma. Causale: abbonamenti Erre)

Questa rivista ha appena chiuso un suo primo ciclo che ha seguito un ciclo politico ben definito. Nata con il Forum sociale europeo di Firenze nel 2002 - fu presentata alla Fortezza da Basso in quel novembre – è stata la rivista che prese il posto della vecchia Bandiera Rossa per poi accompagnare la nascita di Sinistra Critica prima come componente di Rifondazione comunista e poi come organizzazione autonoma. Ma è anche la rivista che ha cercato, fin dalla nascita come è evidente, di seguire le evoluzioni del movimento “altermondialista” e le sue potenzialità in relazione alla rifondazione di una sinistra anticapitalista in Italia e in Europa. Per questa ragione ha realizzato il Progetto K, una rete di riviste europee accomunate dalla stessa volontà e orientate a occupare lo stesso spazio politico. Di questa vicenda le elezioni politiche dello scorso anno, la nascita stessa di Sinistra Critica o, quella ben più rilevante e importante, del Nuovo partito anticapitalista in Francia rappresentano alcuni punti di snodo e che dicono tre cose almeno.
La prima è che la sinistra alternativa che negli ultimi dieci anni ha visto in Rifondazione comunista un punto di riferimento internazionale – si pensi ai social forum o alla stessa nascita della Sinistra europea - ha chiuso una sua fase con la lezione amara del caso italiano. I tentativi di uscita a sinistra dalla crisi del “secolo breve” si sono infranti sull’altare del governismo fuori tempo e delle analisi frettolose e strumentali. La seconda è che una sinistra di classe non esiste se non recupera un’organicità nuova e tutta da inventare con la composizione attuale del moderno proletariato, con le sue sfaccettature e i suoi segmenti scissi, con una coscienza che mai come in questa fase è stata così distante dalla consapevolezza di essere una classe sociale. La terza indicazione di fase è rappresentata dal futuro e cioè dalla certezza acquisita che la ricostruzione di una soggettività politica coerente avrà bisogno di tempo e di alcune coordinate precise e non episodiche. Ma soprattutto dovrà essere frutto di un processo politico-sociale in cui trovino organizzazione collettiva e si riconoscano almeno tre diverse soggettività. Quella degli attivisti, delle attiviste sociali legati e legate a una dimensione anticapitalista e che si trovano oggi impegnati in diversi fronti: nel sindacalismo di classe, nell’associazionismo, nei vari movimenti sociali e seguono con attenzione i movimenti della sinistra politica e le sue possibilità di riorganizzazione. Quella dei, delle militanti delusi e indignati per lo sciupìo di risorse e di energie che la scelleratezza e la miopia dei vari gruppi dirigenti, in particolare di Rifondazione, ha prodotto. Infine, l’apporto, decisivo e inaggirabile, di una nuova generazione politica che oggi è piuttosto lontana dalla politica, che non vuole sentirne parlare – vedi l’Onda – ma il cui impegno è decisivo per un processo di riorganizzazione.
In questo percorso la discussione, il confronto, l’elaborazione saranno decisivi. E decisivo è lo sforzo, che ha animato e animerà ancora questa rivista, di mantenere un filio di collegamento tra il marxismo critico e le nuove elaborazioni o i nuovi interessi che il moderno proletariato vive in prima persona. Uno sforzo che richiede riflessione e analisi adeguata per i quali una rivista, o una casa editrice come Edizioni Alegre, costituiscono uno strumento centrale.
Per questo ci rinnoviamo e proviamo a rilanciarci. Nuova veste grafica, nuovi contenuti, nuova dimensione più diretta e semplificata perché, appunto, bisogna rivolgersi innanzitutto a energie nuove.
In questo numero diamo una certa importanza alla nascita del Npa francese con un’intervista a Olivier Besancenot che in Francia è considerato l’astro nascente della sinistra, in grado di competere per popolarità con chiunque altro o altra dirigente. Ma non possiamo dimenticare la durezza della crisi con un’intervista speciale a Robert Brenner autorevole economista marxista statunitense. Il Focus è invece dedicato alla Palestina, non tanto alla situazione in loco quanto alle prospettive del movimento di solidarietà messo a dura prova dai recenti bombardamenti su Gaza. Ci occupiamo poi della vicenda di Massimo Fagioli nella sezione Idee e Memoria mentre Corrispondenze dedica uno spazio all’America latina con il Forum di Belém e un’intervista su Cuba.
La rivista costerà meno della vecchia serie, nonostante il colore e l’impaginazione più raffinata. E’ uno sforzo e un rischio che ci prendiamo anche grazie al risultato preventivo dato dai nuovi abbonamenti. Questo significa che sarà una rivista più facilmente diffondibile e la cui distribuzione “militante” può essere rafforzata. Ne beneficierebbe la rivista stessa, ovviamente, ma anche il progetto collettivo che la anima.

domenica 22 marzo 2009

Verso la manifestazione di Strasburgo. La NATO globale e la guerra permanente


Verso la manifestazione internazionale di Strasburgo contro la Nato del 4 aprile

Giochi pericolosi: la NATO globale e la guerra permanente


Bloccare il vertice Nato – Aprile 2009

Il 3 e il 4 aprile 2009 la NATO (Organizzazione del Trattato Nord Atlantico) celebrerà il suo 60° anniversario tra Strasburgo (Francia) e Baden Baden (Germania). Questa occasione rappresenta il primo vertice da presidente USA per Barack Obama e il ritorno della Francia nel comando del patto atlantico. Mentre da una parte si stanno accuratamente organizzando i preparativi dell’autocelebrazione, dall’altra sono in corso i lavori per preparare manifestazioni, azioni ed il villaggio alternativo.
I leaders mondiali sono attesi tra il 2 e il 3 aprile nel aeroporto militare di Lahr (Germania).
Il gran varietà militare si aprirà il 3 a Baden Baden con un banchetto seguito da una visita all’Opéra. Le delegazioni (circa 3500 membri previsti e altrettanti giornalisti) si fermeranno a dormire nella località tedesca. Il grande giorno sarà invece il 4 aprile: poco prima delle 9.00 foto di gruppo a Kehl sul ponte d’Europa, che collega Francia e Germania; quindi tutti a Strasburgo per il vertice al Palais de la Musique et des Congrès dalle 10.00 alle 15.00. Si tratta di un programma molto preciso e ristretto nei tempi, perché molti delegati arriveranno direttamente da Londra, dove avrà luogo il vertice del G20 dei Ministri delle Finanze.
Coreografia della resistenza
Sul web esistono migliaia di pagine a proposito dell’organizzazione del controvertice, in francese e soprattutto in tedesco. Si tratta di reti e coordinamenti locali, nazionali ed internazionali.
Tutta la protesta è focalizzata intorno alla manifestazione del 4 aprile, a Strasburgo, dove è previsto un villaggio alternativo, aperto dall’1 al 5 aprile, situato in 207, rue de Ganzau, Neuhof, Strasbourg ad alcuni Km dal centro di Strasburgo; è previsto un infopoint al Molodoi, 19 Rue Ban de la Roche, vicino alla stazione centrale con il Media center, un Legal Team, l’assistenza sanitaria. Il campeggio, di circa 10 ettari, si trova a quasi 8 Km dalla stazione centrale: esistono tram e autobus che collegano le due aree.
A Baden Baden, il 3 aprile, in concomitanza con l’apertura del vertice, sono previste azioni di bloccaggio: sono solo due le strade per accedere alla cittadina, sicuramente ben presidiate dalle FFOO (con tutto l’arsenale già visto al G8 2007 di Rostock: blidati, idranti, snatch squads, videocamere…). Si tratterà di arrivare abbastanza presto (almeno per le 6.00) per tentare di ritardare l’arrivo dei delegati. Un info point sarà attivato anche nei pressi della stazione ferroviaria di Baden Baden, da cui dovrebbe partire la prima manifestazione. Le azioni dovrebbero terminare intorno alle 22.00 per poter ritornare a Strasburgo e preparare le azioni del 4.
Per la manifestazione a Strasburgo del 4 non è ancora stato definito un percorso, dal momento che le autorità locali vogliono che le dimostrazioni abbiano luogo in periferia: sono in corso trattative.
La mattina sono previste azioni dirette e di disobbedienza civile, la manifestazione unitaria dovrebbe invece partire intorno alla 13.00. Lo stesso giorno è stata preannunciata anche una dimostrazione neonazista a Baden Baden contro la presenza della Germania nella Nato: parte dei dimostranti tedeschi dovrebbero rimanere a presidiare la cittadina.
Architettura della repressione
Strasburgo è stata designata per diventare il primo distretto europeo, cioè una città a doppia amministrazione (in questo caso franco-tedesca): malgrado una tale vocazione europeista, si prevede già la sospensione del trattato di Schengen (con la ripresa dei controlli di frontiera). Baden Baden invece diventerà una sorta di carcere di massima sicurezza: sono previsti 4 settori, senza possibilità di movimenti incontrollati di persone tra un settore e un altro.
Saranno presenti circa 15.000 agenti delle FFOO da ciascun lato della frontiera, per un totale quindi di circa 30.000 agenti, cui si devono aggiungere militari, cecchini, guardie del corpo e tutto l’apparato di sicurezza già visto in azione a Genova nel 2001.
In linea di massima, l’obiettivo delle FFOO sarà quello di non permettere a nessuno di entrare nelle due cittadine durante il vertice. Baden Baden e Strasburgo saranno di fatto sigillate: sono previste zone rosse, gialle e di altri colori, a seconda delle progressive limitazioni al diritto di movimento. La zona rossa sarà totalmente inaccessibile, non solo alle manifestazioni ma anche al movimento degli stessi residenti.
Gli abitanti della cittadina di Kehl (luogo della foto di gruppo) si troveranno, tra il 3 e il 4 aprile, per circa 12 ore in condizione di ostaggio della Nato, quasi agli arresti domiciliari: non potranno uscire di casa senza preavvisare le FFOO, e per farlo dovranno essere accompagnati da un agente.

Links utili (in diverse lingue)
Block Baden Baden:
http://www.block-baden-baden.int.tc/
mappa di Baden Baden
http://www.gipfelsoli.org/static/Media/NATO_2009/nato-geht-baden-baden.p...
articolo in francese
http://gipfelsoli.org/Home/Strasbourg_Baden-Baden_2009/NATO_2009_francai...
Nazis in Baden- Baden
http://nonazisinbad.blogsport.de/
Strasburgo:
campeggio: 207, rue de Ganzau, Neuhof, Strasbourg
http://natogipfel2009.blogsport.de/images/campprsentation_01.pdf
mappa:
http://dissent.fr/taxonomy/term/154
http://wri-irg.org/system/files/public_files/br81-en-spread.png
http://sommet-otan-2009.blogspot.com/search/label/affiches
http://natogipfel2009.blogsport.de/
Repressione
http://www.info.libertad.de/de/story/2009/03/von-roten-gelben-und-andere...
Lista dei Link/ Organizzatori:
http://gipfelsoli.org/Home/Strasbourg_Baden-Baden_2009/NATO_2009_Links
Altre informazioni in italiano:
http://liguria.indymedia.org/node/2737

venerdì 20 marzo 2009

OBIETTIVO RAGGIUNTO! 70MILA FIRME PER LA PRIMA LEGGE DELLA SINISTRA IN PARLAMENTO


«Atto Senato n. 1453- XVI Legislatura
Norme in materia di introduzione del salario minimo intercategoriale e del salario sociale, previsione di minimi previdenziali, recupero del fiscal drag e introduzione della scala mobile
Iniziativa Popolare
Presentato in data 9 marzo 2009; annunciato nella seduta n. 173 del 17 marzo 2009» (da www.senato.it [1]).

E' stata annunciata in aula al Senato l’avvenuta presentazione della proposta di Legge di iniziativa popolare per il Salario minimo netto a 1300 euro, il Salario sociale per disoccupati e i Minimi previdenziali a 1000 euro (limite minimo anche per Cig e Mobilità), il recupero del Fiscal drag e la reintroduzione della Scala mobile. Pagati dalla cancellazione della riduzione del cuneo fiscale a imprese, banche e assicurazioni e dalla tassazione delle rendite finanziarie.Si tratta della prima legge della Sinistra presentata in questo Parlamento.
Per Sinistra Critica è un successo evidente.
Per oltre sei mesi i suoi militanti hanno realizzato una campagna di massa che ha ottenuto l’adesione di oltre 70mila sottoscrittori e che ha consentito di discutere con centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici, pensionati, studenti.

E' tempo di affermare con chiarezza che la crisi devono pagarla coloro che l'hanno provocata, banche e padroni, e non i lavoratori. Per questo esigiamo un programma d'urgenza che preveda il salario minimo, il salario sociale, l'interdizione dei licenziamenti, la nazionalizzazione delle banche e delle imprese che mettono a rischio i posti di lavoro, una Patrimoniale non caritatevole, che colpisca i profitti e le grandi fortune . Senza scambi con ulteriori peggioramenti del sistema previdenziale e di welfare.
Il nostro primo obiettivo, ora, è che la legge venga discussa davvero. Per questo chiediamo di essere ricevuti in audizione dalla Commissione Lavoro per arrivare rapidamente al voto del Parlamento.
I contenuti della Legge sono condivisi da importanti settori delle sinistre sindacali (Rete28A Cgil, Rdb-Cub e SdL in particolare) che, con un appello di sostegno, hanno chiesto la contemporanea discussione della Legge popolare sulla Scala mobile presentata nella passata legislatura.
La campagna continua.
Sul sito www.51000.it [2] sarà possibile firmare la petizione online per sostenere questa proposta e per organizzare Comitati unitari contro la crisi.
Per il momento non possiamo che ringraziare tutti e tutte coloro che hanno firmato. Sinistra Critica ha voluto dimostrare la propria esistenza e il proprio ruolo con un'iniziativa concreta, dal basso, in grado di prospettare un'alternativa alle ricette del liberismo e del riformismo pallido del centrosinistra. Una sinistra coerente, radicale, anticapitalista.
Una sinistra utile che vale la pena rafforzare.
www.sinistracritica.org

lunedì 16 marzo 2009

SE TI VUOI DIFENDERE DEVI ESSERE INFORMATO!!!


Lunedì 30 marzo alle ore 20.30 in corso Brescia 14

vieni all’ INCONTRO CON AVVOCATI ED ESPERTI
· per conoscere meglio le leggi che colpiscono gli immigrati
· per capire cosa si può fare per combattere le discriminazioni

Anche a Torino, come in tante altre città, il 28 febbraio c’è stata una grande, pacifica e colorata manifestazione contro il “decreto sicurezza” che se verrà approvato renderà difficile la vita di tutti gli immigrati, regolari e clandestini.


Migliaia di donne e uomini quel giorno hanno urlato che non vogliono:
§ pagare quasi 300 € per rinnovare il permesso di soggiorno
vedere in giro “ronde”, autorizzate dallo stato, che daranno fastidio agli immigrati
che la clandestinità sia considerata un reato
che il permesso di soggiorno diventi a “punti” come la patente di guida
che per avere la carta di soggiorno sia necessario superare un esame di italiano
che sia più difficile fare i ricongiungimenti familiari
che i medici possano denunciare gli irregolari quando vanno in ospedale

Oltre a queste “porcherie”, il “decreto sicurezza” propone tante altre norme che discriminano gli immigrati: BISOGNA CONOSCERLE PER COMBATTERLE!!!

In tutta Italia aumenta la protesta per bloccare queste proposte razziste.
A Torino ci saranno altre manifestazioni e tutte le donne e gli uomini che non si rassegnano a subire in silenzio soprusi e prevaricazioni possono mettersi in contatto con la Rete Migranti: per informarsi, per collaborare, per unire la propria voce a quella degli altri.

rete migranti torino
www.remito.splinder.com
retemigrantitorino@yahoogroups.com
f.i.p.–corso brescia 14 - To

giovedì 12 marzo 2009

Europee, le condizioni per costruire una "comune legittima difesa"


di Salvatore Cannavò (articolo apparso su Liberazione del 12 marzo)Nei giorni scorsi Rifondazione comunista ha proposto alle forze della sinistra comunista e anticapitalista di lavorare per una lista unitaria alle elezioni europee. Come Sinistra Critica abbiamo discusso questa proposta anche perché già in passato abbiamo proposto la costruzione di una lista anticapitalista nuova, chiaramente alternativa al Pd, in grado di rappresentare lo sforzo per una ricostruzione, su nuove basi e per un nuovo inizio, della sinistra di classe. Diffidenze, gelosie organizzative, divergenze varie hanno finora reso impossibile discutere della nostra proposta. Sul tavolo resta quella avanzata dal Prc in alternativa alla presentazione di liste contrapposte che resta un esito ancora oggi probabile. E' chiaro che le europee rappresentano un passaggio delicato: sbarramento del 4% e fase politica italiana costringono a passaggi innaturali. Il manifesto ha proposto di "saltare un giro" per non affrontare le difficoltà esistenti ma comunque le elezioni ci sono e da come se ne uscirà dipenderà il modo in cui si affronterà la fase successiva. E' sulla base di questa analisi che ci siamo disposti a discutere dell'ipotesi di una lista che, pur aggregando progetti diversi tra loro - e il nostro, la Costituente anticapitalista, è l'opposto della Costituente comunista - sia sostenuta da un programma minimo. Un progetto per resistere alla crisi senza per questo mettere la sordina alle differenze, alle diverse prospettive e alle diverse identità. Nei giorni scorsi un simile approccio è stato rilanciato da Ramon Mantovani sul suo blog.Ovviamente la lista dovrebbe avere dei requisiti minimi a partire dal programma e dall'indicazione che: "La crisi la devono pagare le banche e i padroni, non lavoratori e lavoratrici". Un programma minimo in grado di contrastare l'Europa di Maastricht e del trattato di Lisbona, di proporre una Carta europea dei diritti sociali, contrastare il razzismo e la xenofobia, proporre un'alternativa ecologica alle ipotesi nucleariste e delle grandi opere e, non ultimo, battersi per i diritti civili contro l'ingerenza vaticana e il nuovo clericalismo. Un programma che, ovviamente, non elimini i programmi specifici delle varie forze: Rifondazione ha quello della Sinistra Europea - che, ricordiamolo, è cosa diversa dal Gue, il gruppo europeo a cui gli eletti e le elette di questa lista si iscriverebbero - Sinistra Critica si appresta, il prossimo 3 aprile a Strasburgo, a elaborare un programma con la Sinistra Anticapitalista europea.Un accordo elettorale per resistere alla crisi, dunque, che oltre ad alcuni requisiti minimi abbia però un profilo complessivamente accettabile, una sua utilità "sociale" e una pluralità visibile. Qui iniziano i problemi ed è evidente che i punti di partenza sono molto divergenti. Si è in grado di fare una lista davvero alternativa al Pd - e quindi diversa dalla lista della Sinistra a cui lavorano Mps, Sd, Verdi e Socialisti - e che quindi mentre fa la campagna elettorale per le europee non deve gestire l'evidente contraddizione di accordi di governo alle provinciali? Si riesce a fare una lista che non sia segnata dal "partito degli assessori" e quindi da una cultura e pratica governista ma che sia davvero aperta alle forze sociali e associative? Una lista composta al cinquanta per cento di donne? Una lista con un "codice etico" che segnali la volontà di assumere la critica della politica separata e che quindi non candidi chi ha già accumulato due mandati elettorali, ponga un tetto alle indennità (noi abbiamo proposto 3mila euro su un'indennità che arriva anche a 20mila) e realizzi un rapporto diretto tra eletti e società? E, infine, si è in grado di costruire una simbologia che sia davvero rispettosa delle varie identità e dei vari progetti? Il rischio che la proposta di Rifondazione abbia un carattere annessionistico è evidente - e certo non aiutano le dichiarazioni di vari dirigenti che danno per fatto un accordo che non è stato ancora nemmeno discusso…- mentre forse non è ancora chiaro che per quanto riguarda Sinistra Critica c'è la volontà di discutere di qualsiasi soluzione che però preveda la presenza anche del suo simbolo, cioè della sua prospettiva politica al pari di quella degli altri.Un passaggio difficile, dunque, e che non elimina il fatto che per una fase più o meno lunga la sinistra di classe in Italia non supererà la difficoltà cui scelte sbagliate e assurde l'hanno confinata. Non è un caso che come Sinistra Critica presenteremo comunque liste alle provinciali, alternative al Pd e ai governi di centrosinistra, spesso alternative a Rifondazione o al Pdci. C'è molta strada da fare e per il momento possiamo cercare di costruire una "comune legittima difesa". E' poco ma è il massimo realizzabile.*Sinistra Critica

sabato 7 marzo 2009

INTERVISTA A MICHEL WARSCHASKY, CODIRETTORE DELL’ALTERNATIVE INFORMATION CENTER, ANALISTA POLITICO E SCRITTORE


a cura di Irene Panighetti
Come hai vissuto l’ultima guerra contro Gaza?

Innanzi tutto non mi va di usare il termine guerra, non è stata una guerra, è stata una brutale aggressione contro la popolazione civile, e questo non ha niente a che fare con la guerra. Dopodiché, come l’ho vissuta…domanda interessante perché è proprio a livello di vissuto che ha fatto più male, anche se abbiamo conosciuto delle altre guerre e conflitti; la brutalità in questo caso non era un effetto collaterale, era lo scopo, e le vittime civili non erano vittime collaterali ma lo scopo, il massacro non era qualche cosa a latere di una battaglia militare bensì il fine stesso della guerra. Il giorno in cui ho sentito che 35 bambini sono morti a Gaza sono letteralmente andato fuori di testa, ero paralizzato, non potevo fare nulla. Ho preso un cachet e sono andato a dormire per un paio d’ore, e poi mi sono un poco rimesso. Mi sentivo di fronte ad una dimensione irrazionale, anche se si possono spiegare sia i motivi sia i metodi di questa aggressione, c’era qualche cosa che andava al di là. Quel giorno, dopo essermi ripreso, ho pensato ai bambini, ma non ai bambini palestinesi di Gaza bensì ai miei bambini, con questo sentimento estremamente chiaro, come un raggio di sole, che questa barbarie ha chiuso tutte le porte per un eventuale convivenza, ha convinto i nostri astanti arabi, musulmani della regione che non siamo dei vicini accettabili, che noi siamo dei barbari, dei selvaggi, e che come vicini non abbiamo posto. E’ scomparsa la possibilità di fare la pace.

Che cosa è successo qui in Israele?

C’è stato un consenso totale, eccezion fatta per qualche migliaio di attivisti, è stato un consenso totale, dall’estrema destra alla sinistra, al movimento della pace che si è del tutto allineato a questa barbarie, sia il Meretz, sia Peace now; questo lo pagano oggi, perché sono del tutto scomparsi dall’assetto parlamentare.

Ma perché questo consenso totale?

È una domanda che mi ossessiona da un mese, ho degli elementi di risposta che però non mi soddisfano del tutto. Comunque ci sono: in primo luogo si trattava di Gaza e Gaza per gli Israeliani non è un luogo, una regione, non è una popolazione, è una entità. È una minaccia; non si parla degli abitanti di Gaza come per esempio di parla di quelli di Nablus, che magari sono detti terroristi, cattivi, ma conservano una dimensione umana. Mentre della popolazione di Gaza non si parla in termini di donne e uomini, di vecchi, di bambini, di stupidi…no, loro sono cose, Gaza è un’entità, terrorista, che bisogna distruggere con una guerra preventiva e permanente. È una minaccia, e dunque bisogna anticipare il pericolo che costituisce. Il secondo elemento che ha creato questo consenso è che Gaza è del tutto identificata a Hamas e Hamas alla minaccia dell’Islam, ancora una volta la minaccia, non un nemico. La minaccia del terrorismo, la minaccia del terrorismo islamico che è diventata la minaccia dell’Islam. Gaza uguale Hamas uguale minaccia islamica e dunque non c’è problema per gli Israeliani, nemmeno per quelli di sinistra: di fronte a tale minaccia bisogna attaccare.

Ma come è possibile che la gente sia arrivata a pensare in questi termini?


Gaza è fuori dalla dimensione umana, non sono persone, sono entità. La gente della strada non ha mai parlato in termini di Gaza in termini di umani, ma in termini di cose. Solo una volta c’è stato un momento di destabilizzazione, ed è stato quando la televisione ha mostrato le immagini di un medico di Gaza che lavora all’ospedale di Tel Aviv, che parla ebraico, e la cui famiglia è stata massacrata. C’è stato un momento di umanizzazione e gli israeliani hanno reagito, ma per un breve momento, dicendo che questo non andava bene. C’è stato un rapporto da umano a umano, ma è stato estemporaneo, una eccezione.

Come si è comportato il movimento della pace israeliano?

La maggioranza del movimento della pace era allineata alla politica del governo.

Ma cosa si intende ora con l’espressione movimento della pace israeliano?

A lungo si è usata l’immagine della bicicletta con una ruota grande e una piccola. Quella piccola rappresenta le organizzazioni solidali, i militanti, Gush Shalom, l’AIC, le associazioni di donne…che puossono mobilitare tra le 500 e le 2000 persone che è contro la guerra, contro l’occupazione e contro la colonizzazione. L’altra parte, la ruota grande, è Peace Now, la sinistra istituzionale, che poteva mobilitare centomila persone e creare una opinione pubblica in Israele. Il meccanismo che abbiamo visto dal 1982, dalla prima guerra in Libano in poi, vede la ruota piccola che mette in moto quella grande. Una volta che quella grande si muove ha le sue rivendicazioni, le sue modalità e problematiche, ma si muove e quindi abbiamo vinto, la politica del governo cambia. Ebbene, ora la ruota grande è scomparsa. È rimasta una bicicletta con una ruotina, che non so bene come faccia a stare in piedi…non c’è più una dinamica di pressione, il grande movimento è scomparso, non c’era durante la guerra in Libano di due anni fa, non c’era durante l’aggressione a Gaza. Certi residui della ruota grande sono entrati in quella piccola: ho fatto manifestazioni con dirigenti del Meretz, che però non rappresenta che se stesso.

Questo è negativo o è meglio avere più chiarezza?

No, è negativo. Quando manifestavo con quel vecchio dirigente del Meretz lui mi ha detto: non sei contento che siamo insieme finalmente? E io gli ho risposto che ero contento ma anche triste, perché non c’era più un movimento, non è che la ruota grande è entrata in quella piccola che cresciuta…no, è scomparsa, è implosa.

Le ultime elezioni in Israele dimostrano tutto ciò?


Non c’è più una sinistra in Israele, non è una crisi congiunturale, di alti e bassi, è la conferma della scomparsa, e sarà per molto tempo, della sinistra, non certo dei militanti radicali, della ruota piccola, ma della sinistra di massa. Il movimento della pace è affondato.

E ora che prospettive di pace ci sono?


Nessuna. Per tanto tempo resteremo in un processo di ristrutturazione politica, ideologica. Ci vorranno anni per ricostruire una sinistra che non sarà più come la sinistra di un tempo, che voleva un Israele più sano.

Nel tuo ultimo libro, Programmare il disastro, scrivi: « Spesso le guerre sono uno dei mezzi migliori per verificare lo stato di un Paese o di una società. […] la seconda guerra del Libano, nel corso dell’estate 2006, non fa eccezione alla regola: rivela le debolezze strutturali dello stato ebraico alla svolta del terzo millennio e la necessità di cambiamento profondo per ritrovare il posto politico e il ruolo militare che Israele rivendica”. E la guerra di Gaza? In che stato ha lasciato Israele?

Nel disastro. Ho scritto programmare il disastro, anche se non ho scelto io questo titolo, ma d’un tratto è stato premonitore. Ha annunciato la guerra in Libano, la disumanizzazione, la barbarizzazione di Israele. Nell’ultima aggressione contro Gaza è stato davvero: “o tu o io”, “tu o lui” e oggi Israele può fare un vero e proprio massacro a Gaza, ma se si entra in guerra totale è Israele che scompare, non certo il mondo arabo. Non è un miliardo di musulmani che scomparirà ma 7 milioni di pazzi, pazzi furiosi. Bisogna dirlo, sette milioni di pazzi furiosi. Durante la guerra in Libano, o l’Intifada, c’erano due Israele, uno guerrafondaio, colonialista, e uno che vorrebbe qualcosa d’altro, pronto al compromesso per poter vivere in modo normale. E questo non c’è stato a Gaza, non c’è stato nessuno che ha detto: fermi, è la follia, non si potrà mai vivere normalmente se si fa questo. È come se il rigetto della normalizzazione fosse diventato il pensiero di tutti. È per questo che parlo di follia, di irrazionalità. La scomparsa del buon senso. In uno dei miei libri terminavo con la scommessa sul buon senso, perché sostenevo che in Israele da qualche parte c’era qualcuno che ne aveva abbastanza e che voleva finalmente usare la ragione. Ebbene, questo buon senso è scomparso.

Come sono i rapporti con il governo “buono” dei Palestinesi, con l’Autorità Nazionale?


Ma questo governo non rappresenta più niente. Durante il massacro di Gaza ci si aspettava che anche i più moderati come Abu Mazen dicessero: ora basta, non si può più continuare a parlare con voi, siete dei selvaggi, della gente infrequentabile. Non si poteva andare a bere il caffè con la signora Olmert, o incontrarsi come se niente fosse. E invece, purtroppo, l’Autorità Palestinese si è comportata come se niente fosse, per non parlare di quelli che invece hanno spinto per arrivare a ciò. C’è un articolo di un giornalista israeliano, un reportage terribile: lui è stato presente ad un incontro tra le autorità palestinesi e quelle israeliane per collaborare, una vera e propria sinergia nel crimine. Non dico che Abu Mazen sia andato fino a quel punto, ma c’è stata una collaborazione, una collusione, insopportabile.

E ora come giudichi gli accordi tra Fatah e Hamas?

Non so se funzionerà. Il problema è che non c’è più Fatah, ci sono 50 Fatah, anche se ci si può accordare con una corrente, ma non con gli agenti della CIA, che hanno spinto alla guerra, e che sono interni a Fatah. La polizia palestinese è stata formata dagli Americani non certo per fare la guerra per l’indipendenza, ma per fare la guerra contro Hamas. C’è un grosso problema interno ai Palestinesi, e non so se un accordo può durare quando ci sono all’interno stesso dei Palestinesi delle forze che spingono alla guerra.

Dopo l’aggressione contro Gaza Hamas è più forte?


Ma certo, e lo riconoscono anche gli Israeliani. È stata una sconfitta totale per Israele. Dietro la violenza contro Gaza c’era il progetto di indebolire, non distruggere, Hamas, perché questo lo avevano detto in Libano e non è stata propriamente una vittoria…dunque l’obiettivo era indebolirlo ma non lo hanno fatto, hanno indebolito ancor di più Abu Mazen. Quindi politicamente è stato un fallimento, e anche militarmente, perché i razzi continuano ad essere lanciati, Hamas è intelligente, fa vedere che può continuare a farlo, nonostante tutto.

Che ne pensi della reazione degli USA e dell’Europa?


Beh, hanno sostenuto l’aggressione. L’Europa ha solo abbaiato timidamente, per gli USA…erano le ultime settimane della amministrazione Bush, che era ancora nella logica della guerra totale contro l’Islam e del risolvere i problemi mondiali con la guerra. La tempistica dell’attacco non era certo casuale: era legato all’avvento di Obama, che in Israele fa un po’ paura. Bush lo si conosce, si pensa allo stesso modo, si sa chi è. Ma ora il popolo americano e la classe dirigente hanno deciso di cambiare, di mettere alla porta i conservatori e con Obama sarà diverso, ne sono convinto: erto, Obama non è Chavez, ma è per una politica meno brutale, più negoziata, meno militare, per negoziare i conflitti. L’attacco a Gaza è stato, per usare una espressione che si è usato molto qui in diverse occasioni, un modo per marcare con il fuoco le coscienze. Si deve insegnare, e il massacro di Gaza è stato per segnare le coscienze arabe e palestinesi ma anche quelle della nuova amministrazione usa. Si è mandato a dire a Obama, attenzione, noi siamo dei pazzi, possiamo fare tutto. Non è un caso che Tzipi Livni ha usato più volte l’espressione siamo dei folli, follia, ci comporteremo senza limiti, ha mostrato che si è capaci di fare di tutto. E questo era indirizzato anche a Obama. “tu hai una nuova politica” gli si è detto “che a noi non piace ma sappi che qui c’è qualcuno che è disposto ad andare fino in fondo, e quindi ricordati di non tirare troppo la corda”.

Pensi che qualcosa può cambiare qui con Obama?


Sì ma non subito. Non si tratta di mettere in questione l’alleanza tra gli Stati Uniti e Israele, quella è una costante, di democratici e repubblicani, e lo sarà a lungo ancora, ma la politica di Obama non sarà quella della guerra permanente, cercherà di calmare le acque internazionali, di contare più sull’Europa, sulla Russia e sulla Cina. L’America non è più la sola potenza, si torna ad un mondo multipolare, la politica sarà più sottile. Per decenni gli Americani hanno creduto di potere essere i padroni del mondo. Ora è finito, e lo sanno, e non solo sanno che è finito ma anche che, giocando ad essere i padroni del mondo, si sono indeboliti, ora l’America è più debole, ha avuto delle falle nella politica della guerra permanente, Iraq, Afghanistan, Libano, non è stato un successo totale e quindi il mandato di Obama in politica estera è di riorganizzare il gioco, non di mettere in questione la loro egemonia, ma è una egemonia che ora devono negoziare, e anche le crisi ora vanno negoziate, compresa quella in Medioriente. Ora si tiene conto che l’Egitto e l’Arabia Saudita sono dei soggetti importanti per le trattative, cosa che Bush non considerava.

Quindi in questo scenario che cosa si può fare ora qui in Palestina e Israele?


La chiave è sempre stata a Washington, ma questo non vuol dire che non si possa fare nulla. L’Intifada ha imposto a Washington e Tel Aviv di ripensare la loro politica. I rapporti di forza locali hanno una loro importanza, ma da 25 anni la politica dell’OLP si indirizza agli USA, quindi anche adesso tutto si gioca là, per la possibilità che gli USA hanno di influenzare Israele. La politica palestinese si rivolgerà agli USA, cosa che con Bush non aveva senso perchè lui non voleva risolvere il problema, lui voleva la colonizzazione, ma con Obama è diverso.

venerdì 6 marzo 2009

Nucleare: se lo conosci lo eviti, di Marco Bersani


Nucleare: se lo conosci lo eviti, di Marco Bersani, p. 120, euro 12,00.
A volte ritornano. Con gli stessi argomenti. Con la stessa potenza economica, politica e massmediatica. Il Governo Berlusconi si appresta a rilanciare la produzione in grande scala dell’energia nucleare, nonostante il popolo italiano si sia già pronunciato contro a larghissima maggioranza nel referendum del 1987.
Come questo libro dimostra dettagliatamente, oggi come allora, gli argomenti portati a favore sono inconsistenti: non è vero che il nucleare sarà l’energia del futuro, che è economicamente competitivo, che serva a ridurre le emissioni di gas serra, che non ci siano alternative.
Mentre sono drammaticamente veri i ripetuti incidenti e la produzione di scorie altamente radioattive che irresponsabilmente consegneremo alle prossime diecimila generazioni. Senza contare la proliferazione del nucleare militare, di cui l’uso "civile" è figlio riconosciuto.
Venti anni fa un forte movimento sconfisse la follia nucleare, ma non riuscì a costruire un altro modello energetico e di società. Oggi, un nuovo movimento antinucleare dovrà nascere nei territori e nelle piazze di questo Paese.
Autore:
Marco Bersani, laureato in Filosofia, è Dirigente comunale dei servizi sociali. Socio fondatore di Attac Italia, è membro del Consiglio nazionale dell'associazione. Fra i portavoce del Genoa social forum nel luglio del 2001, sempre attivo nei movimenti di lotta per la difesa dei beni comuni, è fra i promotori del Forum italiano dei Movimenti per l'acqua. Nel 2007 ha pubblicato Acqua in movimento, Edizioni Alegre.

Puoi acquistare i libri anche direttamente e riceverli a casa con spese postali a nostro carico, con versamento sul ccp n. 65382368 intestato a Edizioni Alegre società cooperativa giornalistica, Circonvallazione casilina 72 00176 Roma, specificando nella causale i titoli che si intende ricevere.

http://www.edizionialegre.it/

giovedì 5 marzo 2009

No al nucleare: un’altra energia per un’altra società


Fabrizio Valli - Attac Italia


Dalle notizie stampa l’accordo siglato tra Berlusconi e Sarkozi, con il relativo accordo siglato tra ENEL e EDF, vuole essere un nuovo passo in avanti per il ritorno del nucleare in Italia: messa a disposizione del know how d’EDF, impegno tra ENEL e EDF a costituire una joint-venture paritetica responsabile dello sviluppo degli studi di fattibilità per la realizzazione di centrali di “terza Generazione con tecnologia Epr”. Una volta completate le attività di studio è prevista la costituzione di società ad hoc per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di almeno 4 centrali in Italia
Bufala di IV generazioneNon è la prima volta che in Italia si parla di ritorno al nucleare: questo stesso governo aveva rilanciato la questione lo scorso anno, poco prima dello stillicidio d’incidenti che avevano colpito alcune centrali nucleari francesi.
Oggi parlano di reattori di IV generazione proprio per far intendere che è lontano il pericolo di incidenti. In realtà parlando di reattori di IV generazione, che dovrebbero essere “sicuri”, ma che non esistono (se ne prevede la realizzazione e commercializzazione non prima del 2030 – 2040), si vuole di fatto allungare il periodo di funzionamento dei reattori attualmente in commercio (II generazione), già protagonisti della serie d’incidenti che abbiamo visto in passato, e costruire nuove centrali con reattori cosiddetti di III^ generazione (reattori di seconda generazione con miglioramenti per evitare incidenti e sistemi di sicurezza passivi) che sono sostanzialmente una versione migliorata di quelli di II^ generazione.
I rischi del nucleare sono ampliamente noti, principalmente pericoli di fuoriuscita di materiale radioattivo e questione della gestione delle scorie, che sono pericolose per decine di migliaia d’anni. Problemi questi che non sono ancora stati superati.
Nucleare ed energie alternativeMa non è solo il governo Berlusconi e non solo in Italia si parla di rilancio del nucleare.
Recentemente il dibattito sul nucleare ha ripreso vigore. Prendendo spunto dai problemi creati dall’aumento del prezzo del petrolio e dalla necessità di ridurre i gas serra è avanzata in diversi paesi la richiesta di rilancio della costruzione di centrali nucleari.
Tale dibattito è viziato da un errore di fondo: il nucleare come soluzione ai problemi legati alle forme d’energia attuali. Ma questo è falso!
Il nucleare è usato quasi esclusivamente nella produzione d’energia elettrica, non è quindi un sostituto del petrolio. Anche le riserve d’uranio sono esauribili, secondo alcuni studi al livello di consumi attuale quest’esaurimento potrebbe avvenire tra 50 – 70 anni.
Il nucleare è estremamente costoso rispetto alle altre fonti d’energia.
Secondo l’agenzia Moody’s (maggio 2008) per realizzare una centrale da 1000MW bisogna spendere 4,6miliardi d’Euro, un recente progetto della Florida Light and Power di questa taglia costa 5,2 miliardi d’Euro.
Senza contare che i costi di realizzazione sono stati sempre sottodimensionati: Un analisi del DOE su 75 reattori statunitensi ha rilevato che la spesa effettiva è stata il triplo del previsto. Il reattore di III^ generazione ERP in costruzione ad Olkiuoto in Finlandia registra già due anni di ritardo ed un costo salito da 3,2 miliardi di E a 4 miliardi di E. Considerando inoltre che la costruzione di nuove centrali nucleari farebbe enormemente aumentare il costo delle materie prime necessarie, già ora in rapida ascesa.
Non è un caso che negli stati uniti, dove il mercato è stato liberalizzato, da 30 anni non si costruiscano nuove centrali, nonostante i forti incentivi introdotti nel 2005.
Il nucleare non è neanche una risposta ai problemi dell’effetto serra. Se l’impatto di una centrale è basso non così quello del ciclo complessivo ( 60 – 130 gCO2eq/KWh) attualmente pari ad 1/5 di quello delle centrali a ciclo combinato ma che, con la necessità di estrarre uranio da minerali sempre più poveri di tal elemento, potrebbero superare le emissioni di queste ultime.
Perchè questa corsa al nucleare?A questo punto resta da domandarsi come mai questa corsa al nucleare. Vi è certamente da considerare che l’industria nucleare ha compiuto enormi investimenti nella progettazione e adesso vuole conseguirne gli sperati profitti.
Il nucleare, a differenza del solare, garantisce il mantenimento di un sistema energetico centralizzato con filiere ad alta densità di capitale fisso, questo crea situazioni di monopolio per le industrie del settore che permette loro appropriarsi di una parte del plusvalore globale, ricavandovi sovrapprofitti.
Senza voler suggerire un legame generale rigido ed univoco tra capitalismo ed energia nucleare, vi sono anche altri aspetti più generali da considerare: il nucleare civile ed il nucleare militare sono strettamente connessi. Uno dei motivi principali per cui la Francia si era lanciata nella costruzione del suo vasto parco di centrali nucleari era la volontà di possedere un arsenale atomico indipendente. Ma vi è anche da notare che il nucleare, a differenza del solare, garantisce il mantenimento di un sistema energetico centralizzato generatore di rendita e rappresenta il sogno del potere economico di una fonte energetica inesauribile che permetterebbe una crescita continua dell’offerta e del consumo di merci. Da questo punto di vista il nucleare non è che l’ultimo estremo desiderio di trovare una fonte di energia che garantisse di perpetuare i vantaggi che garantiva il “regime fossile” molto appropriato al modo di produzione attuale: energie che possono essere usate senza restrizioni geografiche, permettendo una localizzazione degli impianti per il loro consumo orientata agli aspetti di rendimento piuttosto che alle condizioni naturali, che non dipendono dal tempo e permettono processi di concentrazione degli impianti.

Anche per questo il nucleare – nonostante sia una fonte estremamente pericolosa, estremamente costosa e non risolutiva dei problemi energetici – non è ancora sparito dal novero delle opzioni, sebbene la sua estrema onerosità abbia di fatto imposto uno stop alla costruzione di nuove centrali.
Sistema energetico e modo di produzioneE’ necessario che un nuovo movimento antinucleare si saldi alle lotte contro le altre filiere energetiche inquinanti e pericolose per le persone e per l’ambiente, unendosi ai molteplici comitati di cittadine e cittadini che si battono sui territori contro centrali, rigassificatori, inceneritori, battendosi per nuove filiere energetiche.

Più di fondo la crisi ambientale in corso rende necessario che il “No” al nucleare sia un “Sì” ad una società delle energie rinnovabili (quelle vere!), più democratica ed eguale: il sistema energetico di una data società non è altro che il suo modo di produzione visto da questo lato.
E’ necessaria una riappropriazione sociale delle risorse energetiche e delle conoscenze connesse, si pone qui la questione della proprietà di tali risorse e di una pianificazione democratica da parte della collettività totalmente sottratta alla logica del profitto e orientata alla difesa dell’ambiente e della salute. Ma questa questione ne sottende una più generale di profonde modifiche in settori centrali della nostra società, sopprimendo settori di produzione energivori e/o inquinanti inutili o nocivi per i bisogni sociali. Una radicale trasformazione oltre che del settore della produzione d’energia, dei settori dei trasporti e agricolo, nell’organizzazione della produzione, del territorio e delle città.

Un’ altra società rispetto a quella della rendita e del profitto che ci ha portato crisi economica ed ambientale e che si culla nei suoi sogni nucleari, sogni per pochi incubi per molti.

martedì 3 marzo 2009

LA CRISI LA PAGHINO LE BANCHE E I PADRONI, NON I LAVORATORI


Si è riunito il Coordinamento nazionale di Sinistra Critica che ha discusso la fase politica e la proposta da avanzare alle prossime elezioni europee. Approvato all'unanimità un documento politico complessivo, da cui scaturirà anche la proposta politica per il prossimo Congresso dell'organizzazione - la Costituente Anticapitalista - mentre a maggioranza (punto 10) è stato conferito un mandato al Gruppo operativo per verificare la possibilità di una lista anticapitalista alle prossime europee.
1. La crisi economica internazionale esplode ormai nella sua virulenza e drammaticità come avevamo pronosticato e contro tutti i tentativi di assicurazione indotti dai governi, in particolare quello italiano. E' una crisi sistemica ennesimo prodotto di un capitalimo che soffre di una crisi strutturale di accumulazione e che in assenza di nuovi sbocchi e di nuovi slanci si è rifugiato nella crescita a debito. E' proprio il livello spaventoso di capitale fittizio che grava sull'economia reale a comprimere in forme senza precedenti la ricchezza circolante. La svalutazione patrimoniale che prosegue senza sosta da oltre sei mesi è l'effetto di questo processo che si accompagna a una fase di recessione ormai prossima alla depressione e si aggiunge a una crisi di sottoconsumo delle masse popolari effetto della perdita di potere di acquisto di salari e pensioni. Il neoliberismo rampante, ideologia e politica che ha alimentato i meccanismi perversi di questo processo mostra il suo fallimento senza possibilità di appello anche se l'impianto neoliberista accompagna ancora le scelte di tutti i governi. Alla domanda "chi paga la crisi?", la risposta è oggi unanime: il mondo del lavoro, il precariato, le donne, i migranti. Certamente non le banche e le imprese che sono le uniche beneficiarie del ritorno all'intervento pubblico. Anche le cosiddette nazionalizzazioni sono l'ultimo tentativo di salvare un capitale che altrimenti va in fumo e di garantire azionisti privati dalla perdita di valore. In realtà siamo di fronte alla crisi manifesta di un sistema, quello capitalistico, che mostra le sue contraddizioni esplosive e promette, ancora una volta, un futuro di miseria e di distruzione. Anche perché la crisi si combina a una crisi ecologica di portata senza precedenti.
2. E' una fase drammatica quella che abbiamo di fronte e occorre rendersene pienamente conto. Questo ancora non è accaduto davvero nella consapevolezza della sinistra di classe. Senza una resistenza efficace, la crisi non si tradurrà solo in un impoverimento generalizzato, nella perdita massiccia di lavoro e di salario, nella compressione dei diritti sociali e civili, nella riduzione dei servizi pubblici o nella devastazione ambientale ma in un'occasione "preziosa" per assestare una sconfitta storica al movimento operaio e popolare. L'Italia del governo Berlusconi rappresenta un banco di prova formidabile: attacco al diritto di sciopero, al contratto nazionale, aumento dell'età pensionabile per le donne, criminalizzazione del lavoro pubblico, attacco a insegnanti e studenti, istituzione di uno "squadrismo di stato" con le ronde, alimentazione dell'odio xenofobo e della guerra "tra poveri", la propaganda sulla "sicurezza" la costante rimessa in discussione delle garanzie democratiche, sono tasselli di un'offensiva globale al mondo del lavoro e alla sinistra nel suo complesso. Il governo Berlusconi si costituisce come un compiuto "governo dei padroni" e della loro volontà di regolare una volta per tutte i conti con lavoratori e lavoratrici. Proprio nel momento in cui "l'antiberlusconismo" si sostanzia di una visione di classe e di una difesa sostanziale della democrazia, sembra invece venire meno. La comprensione della portata dell'attacco costituisce una precondizione per una risposta la più unitaria e forte possibile dal punto di vista del movimento di massa e della resistenza sociale.
3. Se le ricette neoliberiste mostrano il loro effetto fallimentare non si può dire che si vedano all'orizzonte proposte alternative, con l'eccezione dell'America latina. Nessun governo del mondo, nemmeno quello statunitense, ha finora imboccato una via di stampo neo-keynesiano in grado, sempre dal punto di vista del capitalismo, di dare una sterzata alla crisi. I progetti di intervento sociale sono per lo più limitati e caritatevoli, i diritti e i poteri reali del mondo del lavoro non sono accresciuti, la politica di redistribuzione del reddito appena accennata. La situazione è analoga in Europa o in Giappone: le vecchie politiche costituiscono la regola come mostra l'accanimento con cui si difende il Trattato di Amsterdam e di Lisbona in Europa, i parametri del Patto di Stabilità e il controllo dei deficit pur in presenza di una recessione dirompente. Non esistono alternative interne al sistema, per il momento, e comunque, dal nostro punto di vista, queste alternative, per quanto in grado di limitare i danni, non sarebbero comunque efficaci ad attutire gli effetti della crisi. Una politica alternativa, infatti, di fronte a una crisi epocale deve rompere la logica del capitalismo, promuovendo l'avvio di un processo di riorganizzazione sociale e politica in grado di produrre una rottura di sistema e una trasformazione sociale. E' quella che chiamiamo logica di obiettivi transitori.
4. Pertanto di fronte alla crisi è oggi indispensabile una gamma di obiettivi intermedi che affrontino l'emergenza e lavorino per un'alternativa di società:a) innanzitutto una vertenza generale immediata che difenda i posti di lavoro, i salari, le condizioni pensionistiche, i servizi sociali e le garanzie democratiche; innalzamento dei minimi salari a 1300 euro, salario sociale a 1000 euro, riduzione di orario di lavoro a parità di salario, diritto di sciopero, abolizione della legge 30, scala mobile, diritto alla casa;b) Alla domanda "chi paga?" la nostra risposta è netta: chi ha provocato la crisi, le banche, le imprese, il grande capitale. Per questo va introdotta una tassa Patrimoniale, la tassazione delle rendite finanziarie, l'eliminazione degli aiuti di Stato alle imprese, come il cuneo fiscale, una gigantesca ripartizione del reddito dal capitale al lavoro e un piano di diritti e di poteri per il lavoro salariato;c) la nazionalizzazione di banche e imprese è una misura ormai definita indispensabile dagli stessi capitalisti e dai governi. Ma quale nazionalizzazione? Un'effettiva nazionalizzazione, che deve essere messa in atto per quelle imprese che non garantiscono il lavoro o il salario, va realizzata sotto controllo operaio e popolare e con l'obiettivo di migliorare le condizioni di vita delle masse popolari, non di salvaguardare i profitti.d) In questo senso la nazionalizzazione o, meglio, pubblicizzazione di alcuni gangli produttivi non può essere disgiunta da un piano di sviluppo ecologicamente compatibile e democraticamente determinato. Gli Stati generali del lavoro e dell'ambiente potrebbero rappresentare un primo passo per definire un piano collettivo, democratico e orientato socialmente;e) Un intervento pubblico massiccio, che costituisce una risposta possibile alla crisi, non può avvenire che nel pieno rispetto di compatibilità ecologiche rigidissime. Non serve la Tav o l'energia nucleare, ma le energie rinnovabili e un piano di riassesto idro-geologico del territorio, non servono i rigassificatori ma la riqualificazione ambientale di aree dismesse, non gli inceneritori ma la raccolta differenziataf) una riduzione drastica e generalizzata delle spese militari, con il ritiro delle truppe dai fronti di guerra, la riconversione civile dell'industria bellica
5. Se la crisi colpisce duro è anche per l'effetto politico determinato dalla crisi della sinistra compresa quella riformista. La socialdemocrazia internazionale è da tempo approdata ai lidi del social-liberismo e gli effetti sono evidenti nell'indistinguibilità dei suoi governi da quelli conservatori. Il fenomeno ha assunto un punto particolarmente acuto in Italia con la formazione del Partito Democratico la cui crisi però è verticale e si aggrava all'aggravarsi della crisi economica. La spiegazione è semplice: se l'obiettivo è governare il sistema per migliorarlo nel momento in cui questo non offre alcun margine di mediazione o di riformismo questa pretesa cade miseramente. La crisi viene governata da destre autoritarie e nazionalistiche e la sola alternativa è data da una trasformazione sociale radicale. Dopo il fallimento di Veltroni il Pd cercherà di aggiustare il tiro magari alzando i toni e mimando un'opposizione più netta ma non risolverà la sua contraddizione di fondo e la sua difficoltà obiettiva: non c'è spazio in Italia per quel tipo di riformismo in presenza di una destra rapace e onnivora e di un centro cattolico che presidia uno zoccolo duro di consenso. Sopratutto non risolve la sua crisi un partito che continua a non schierarsi sulle questioni sociali ed economiche: il silenzio del Pd sull'attacco al diritto di sciopero è esemplificativo.
6. Se il Pd persiste nella sua crisi, la Cgil vive invece una fase di opposizione anche se questa non rimette in discussione la concertazione. L'attacco del governo ai vari diritti e alla stessa Confederazione di Epifani spinge quest'ultima ad alzare le difese e i toni del suo discorso in funzione della propria sopravvivenza. Da questo punto di vista la Cgil svolge un ruolo positivo perché offre una sponda alla resistenza sociale. Ma questo non vuol dire che abbia risolto le sue contraddizioni o fatto i conti con i suoi errori. Se il governo può attaccare il diritto di sciopero è perché anche la Cgil ha permesso il varo della 146 e se Cisl e Uil possono fare da ruota di scorta di Berlusconi è anche perché la Cgil ha avallato e incarnato la concertazione di Stato di cui l'ultimo atto è il Protocollo sul Welfare. Partecipare alle iniziative della Cgil oggi - e noi aderiremo alla manifestazione del 4 aprile - non significa mettere il silenziatore alle critiche o tacere le divergenze. In questo senso, la nuova fase, che pure andrà verificata nel dettaglio a partire dai rinnovi contrattuali, non elimina l'esigenza di una piattaforma alternativa in vista del congresso Cgil.
7. La fase di crisi impone un salto di qualità anche al sindacalismo di base. Molto è stato fatto con la realizzazione del Patto di Base e comunque i e le militanti del sindacalismo di base rappresentano un esempio generoso di impegno in controtendenza con la crisi della sinistra. Nondimeno, di fronte alla crisi serve ancora uno sforzo: una effettiva unificazione, nei tempi e nei modi che rispettino le varie pratiche e culture, sarebbe oggi lo strumento indispensabile per agitare una massa critica adeguata a resistere alla crisi e a interloquire con le dinamiche della Cgil. Ma anche a rendersi strumento utile a una ricomposizione in avanti del movimento di massa. La manifestazione del 28 marzo, in occasione del G20, è un'occasione in questo senso e andrebbe colta per coinvolgere settori sociali tra loro diversi, costruire le condizioni per un "Patto unitario contro la crisi" in grado di rilanciare una stagione dei movimenti di cui si è vista una potenzialità anche al recente Forum sociale di Belém.
8. Ma la crisi della sinistra è innanzitutto la crisi della sinistra di classe, fenomeno particolarmente visibile in Italia. L'ennesima scissione del Prc dimostra la fine di ciclo di quel partito con l'esplosione di contraddizioni interne covate nel corso degli anni. Contraddizioni di cultura politica, di strategia, di democrazia interna. La sinistra oggi si presenta in forma di diaspora ed è difficile individuare un punto di partenza adeguato. Se da una parte una componente importante, come quella di Vendola e Bertinotti, sceglie di approdare definitivamente a una sorta di socialdemocrazia conseguente - con la formazione di una lista di Sinistra insieme ai socialisti e a Sd - da parte di Prc e Pdci si prosegue nell'autoaffermazione identitaria per coprire un'insufficienza analitica e programmatica. Una posizione autoproclamatoria inutile sul piano sociale e priva di respiro strategico la cui pretesa di riassemblare la sinistra di classe è non solo vana ma rappresenta persino un ostacolo a un nuovo inizio. Su un'altra sponda, il Pcl è prigioniero del suo settarismo che gli impedisce anche di valutare convergenze elettorali in grado di rappresentare un orientamento anticapitalista. Alla possibilità di liste comuni spesso, come in Sardegna, si preferisce nessuna lista.
9. Per quanto riguarda Sinistra Critica non abbiamo mai interpretato la nostra esistenza e il nostro progetto come risolutive della crisi. Continuiamo a pensare che Sinistra Critica sia uno strumento utile a resistere e a mantenere in vita una prospettiva di rilancio che oggi ci sembra quanto mai attuale. Per questo ribadiamo l'ipotesi di una "Costituente Anticapitalista" come processo aperto in grado di costruire campagne unitarie, fare i bilanci politici necessari, impostare una strategia comune per arrivare alla formazione, nei tempi adeguati, di un nuovo soggetto anticapitalista. Si tratta di un compito "storico" in grado di ricostruire una organizzazione adeguata di almeno tre ambiti sociali e politici diversi: militanti delusi e deluse della sinistra comunista che vogliono resistere e ripartire; militanti dell'anticapitalismo diffuso - associazionismo, sindacalismo di base, centri sociali - che hanno resistito, che non si sono illusi e che mantengono un grado di intervento sociale attivo: una nuova generazione politica che costituisce delle tre la componente decisiva anche se non facilmente aggregabile. Le coordinate essenziali di una Costituente sono quelle che abbiamo sempre indicato: l'alternatività al Pd e ai suoi governi e quindi una dinamica di opposizione sociale; un programma anticapitalista in grado di contrastare la logica di fondo del sistema; un'internità ai movimenti sociali in direzione della loro autoaffermazione e autorganizzazione; una cultura politica che integri l'anticapitalismo con l'ecologismo e il femminismo; una dimensione internazionale. La recente nascita del Npa in Francia, rappresenta più che un modello la prova che è possibile agire in questa direzione, superando vecchie appartenenze e scommettendo su un nuovo protagonismo politico.E' chiaro che si tratterà di un processo di medio-periodo, non risolvibile con scorciatoie o tatticismi e del quale, siamo consapevoli, non si vedono oggi le condizioni. Per questo l'esistenza, la costruzione, il rafforzamento di Sinistra Critica sono un valore prezioso e irrinunciabile.
10. Abbiamo proposto la costruzione di una lista anticapitalista alle europee come parte di questo progetto ambizioso. Diffidenze, gelosie organizzative, divergenze varie hanno finora reso impossibile discutere di questa dimensione. Eppure le europee rappresentano un passaggio che segnerà la fase successiva. Lo sbarramento al 4% introdotto in fretta e furia ha indicato quanto i grandi partiti sentano la prova elettorale e quanto questa potrà segnare un'ennesima sconfitta per l'intera sinistra di classe, uno scenario che certamente non auspichiamo. Per parte nostra rilanciamo l’ipotesi di una lista che, pur aggregando progetti diversi tra loro – e il nostro è l'opposto della Costituente comunista, identitaria e muta socialmente – sia sostenuta da un programma minimo e da un'utilità sociale e mantenga aperto uno spazio di costruzione di una moderna sinistra di classe.Il programma deve partire dalla constatazione che "La crisi la devono pagare le banche e i padroni, non lavoratori e lavoratrici" quindi da un’ipotesi anticapitalista di uscita dalla crisi e dall’articolazione di una dimensione sociale europea con una Carta dei diritti sociali, il rifiuto della guerra e delle spese militari, il rigetto di qualsiasi forma di razzismo e xenofobia, la difesa ecologica del territorio, la difesa a oltranza dei diritti civili contro qualsiasi ingerenza vaticana. Un programma minimo che non elimini i programmi specifici delle varie forze - Sinistra Critica si appresta a elaborare un programma con la Sinistra Anticapitalista europea.L'utilità sociale è data dall'apertura della lista ad associazioni e movimenti ma soprattutto dalla capacità di contribuire a una mobilitazione di massa e a una resistenza sociale unitaria.Un accordo elettorale per resistere alla crisi, dunque, che abbia alcuni requisiti minimi e un profilo complessivamente accettabile: una lista chiaramente alternativa al Pd e che quindi non si presenti allo scopo di ricontrattare un'alleanza politica a tutto campo; una lista che valorizzi "l'attività sociale" e non "il partito degli assessori"; una lista aperta, plurale, di genere; una lista che si doti di un "Codice etico" con il divieto di candidature che abbiano già cumulato due mandati elettorali dai Consigli regionali in sù e i cui candidati pongano un tetto all'indennità ricevuta (non più di 3000 euro) finanziando con il resto associazioni, movimenti, sindacati, giornali, comitati di lotta; una lista, infine, coerente sia pure tra strutture diverse e che si presenti non come un progetto annessionistico ma che, anche simbolicamente, rappresenti la sua pluralità e le sue differenze.Il Coordinamento nazionale dà mandato al Gruppo operativo nazionale di promuovere nei prossimi giorni degli incontri con la sinistra di classe politica, sociale e sindacale per discutere dell'utilità e della fattibilità di una simile lista e di provvedere comunque a tutti gli adempimenti e formalità per la presentazione autonoma di Sinistra Critica.Il coordinamento nazionale decide comunque che l'esito di questa discussione sarà sottoposto a una consultazione vincolante di tutta l'organizzazione attraverso la convocazione degli attivi provinciali degli iscritti al 2008 sulla base di una proposta elaborata dal Gruppo operativo e dal Coordinamento nazionale che quindi si riunirà quanto prima.
11. L'esigenza di una lista di classe per le europee non esaurisce la necessità di un chiarimento politico a sinistra e di una battaglia che andrà oltre la scadenza delle europee. Per questo il Coordinamento dà mandato a tutti i coordinamenti provinciali di realizzare, dove è possibile, liste per le elezioni amministrative alternative al Pd e ai suoi governi, con caratteristiche unitarie e plurali ma rigorose sul piano dei programmi e delle modalità di composizione della candidature.

Approvato all'unanimità (tranne il punto 10 approvato a maggioranza)

lunedì 2 marzo 2009

Una lista anticapitalista per resistere alla crisi


Tra le condizioni: chiaro programma anticapitalista; alternatività al Pd, codice etico, pari dignità dei progetti e quindi dei simboli.


(ANSA) - ROMA, 1 MAR - «Una lista anticapitalista per resistere alla crisi» da presentare alle prossime elezioni europee. Questo il mandato esplorativo verso la sinistra radicale, deciso a maggioranza, dal Coordinamento nazionale di Sinistra Critica che nella precedente legislatura era rappresentata dal deputato Salvatore Cannavò e dal senatore Franco Turigliatto, che non votò la fiducia al governo Prodi contribuendo alla sua caduta. La piccola formazione di sinistra pone le sue condizioni per un accordo elettorale: chiaro programma anticapitalista; alternatività al Pd, codice etico, pari dignità dei progetti e quindi dei simboli. «Lo sbarramento al 4% introdotto in fretta e furia - si legge nel documento approvato - ha indicato quanto i grandi partiti sentano la prova elettorale e quanto questa potrà segnare un'ennesima sconfitta per l'intera sinistra di classe, uno scenario che certamente non auspichiamo. Per parte nostra rilanciamo l'ipotesi di una lista che, pur aggregando progetti diversi tra loro (il nostro è l'opposto della Costituente comunista, identitaria e muta socialmente) sia sostenuta da un programma minimo e da un'utilità sociale e mantenga aperto uno spazio di costruzione di una moderna sinistra di classe». L'elemento centrale del programma: «la crisi la devono pagare le banche e i padroni, non lavoratori e lavoratrici». (ANSA).


Il testo sulle elezioni europee contenuto nel documento politico( punto10).


Abbiamo proposto la costruzione di una lista anticapitalista alle europee come parte di questo progetto ambizioso. Diffidenze, gelosie organizzative, divergenze varie hanno finora reso impossibile discutere di questa dimensione. Eppure le europee rappresentano un passaggio che segnerà la fase successiva. Lo sbarramento al 4% introdotto in fretta e furia ha indicato quanto i grandi partiti sentano la prova elettorale e quanto questa potrà segnare un'ennesima sconfitta per l'intera sinistra di classe, uno scenario che certamente non auspichiamo. Per parte nostra rilanciamo l’ipotesi di una lista che, pur aggregando progetti diversi tra loro – e il nostro è l'opposto della Costituente comunista, identitaria e muta socialmente – sia sostenuta da un programma minimo e da un'utilità sociale e mantenga aperto uno spazio di costruzione di una moderna sinistra di classe.Il programma deve partire dalla constatazione che "La crisi la devono pagare le banche e i padroni, non lavoratori e lavoratrici" quindi da un’ipotesi anticapitalista di uscita dalla crisi e dall’articolazione di una dimensione sociale europea con una Carta dei diritti sociali, il rifiuto della guerra e delle spese militari, il rigetto di qualsiasi forma di razzismo e xenofobia, la difesa ecologica del territorio, la difesa a oltranza dei diritti civili contro qualsiasi ingerenza vaticana. Un programma minimo che non elimini i programmi specifici delle varie forze - Sinistra Critica si appresta a elaborare un programma con la Sinistra Anticapitalista europea.L'utilità sociale è data dall'apertura della lista ad associazioni e movimenti ma soprattutto dalla capacità di contribuire a una mobilitazione di massa e a una resistenza sociale unitaria.Un accordo elettorale per resistere alla crisi, dunque, che abbia alcuni requisiti minimi e un profilo complessivamente accettabile: una lista chiaramente alternativa al Pd e che quindi non si presenti allo scopo di ricontrattare un'alleanza politica a tutto campo; una lista che valorizzi "l'attività sociale" e non "il partito degli assessori"; una lista aperta, plurale, di genere; una lista che si doti di un "Codice etico" con il divieto di candidature che abbiano già cumulato due mandati elettorali dai Consigli regionali in sù e i cui candidati pongano un tetto all'indennità ricevuta (non più di 3000 euro) finanziando con il resto associazioni, movimenti, sindacati, giornali, comitati di lotta; una lista, infine, coerente sia pure tra strutture diverse e che si presenti non come un progetto annessionistico ma che, anche simbolicamente, rappresenti la sua pluralità e le sue differenze.Il Coordinamento nazionale dà mandato al Gruppo operativo nazionale di promuovere nei prossimi giorni degli incontri con la sinistra di classe politica, sociale e sindacale per discutere dell'utilità e della fattibilità di una simile lista e di provvedere comunque a tutti gli adempimenti e formalità per la presentazione autonoma di Sinistra Critica.Il coordinamento nazionale decide comunque che l'esito di questa discussione sarà sottoposto a una consultazione vincolante di tutta l'organizzazione attraverso la convocazione degli attivi provinciali degli iscritti al 2008 sulla base di una proposta elaborata dal Gruppo operativo e dal Coordinamento nazionale che quindi si riunirà quanto prima.

IN PIU' DI TREMILA CONTRO IL PACCHETTO SICUREZZA!


Un grande corteo composto da molti migranti.E' proprio l'alta percentuale di migranti (almeno 1000) che rende molto significativa la manifestazione di ieri pomeriggio organizzata dalla Rete Migranti Torino.Molte le donne che erano presenti nelle prime file dietro gli striscioni e che si sono fatte sentire anche dal microfono, ricordando l'appuntamento di sabato prossimo per la manifestazione contro la violenza sulle donne. Molto varia la composizione delle comunità presenti al corteo, molte persone del centrafrica e molte quelle della comunità marocchina che hanno scandito slogan chiari, forti e del tutto laici contro il pacchetto sicurezza e contro Maroni.Grazie a tutti coloro che hanno sostenuto la manifestazione e che hano partecipato.La Rete Migranti sta ora lavorando per la costruzione di una grande manifestazione nazionale.

http://remito.splinder.com/post/19969432/IN+PIU%27+DI+TREMILA+CONTRO+IL+P