lunedì 27 aprile 2009

Una candidatura alternativa per le elezioni provinciali


Sinistra Critica presenta candidato a Presidente della Provincia di Torino

Ngandu Mukendi detto Gippò

Nato a Torino nel 1974 è un giovane ricercatore univer-sitario precario, che rappresenta la condizione di tanta parte delle lavoratrici e dei lavoratori giovani e meno giovani nel nostro paese e nella nostra provincia, profondamente colpita dagli effetti della crisi capitalistica con decine di migliaia di lavoratori in cassa integrazione e il rischio di migliaia di licenziamenti.
Gippò si è distinto per la sua attività nei movimenti antiguerra, ambientalisti, dei diritti dei migranti e nelle recenti mobilitazioni per la difesa della scuola e dell’università; con il suo impegno e la sua candidatura vogliamo rappresentare la società per cui ci battiamo, di libertà, di giustizia, di democrazia.
Alternativo alla candidata della destra espressione della Confindustria e di una classe padronale che vuole scaricare sulle masse popolari i costi della crisi di cui è responsabile.
Alternativo anche alla coalizione di centro-sinistra che ha governato portando avanti scelte economiche, sociali e infrastrutturali del tutto funzionali agli interessi dei potentati economici della nostra regione. Non a caso il suolo della provincia di Torino è stato divorato a vantaggio dei signori del cemento e dell’asfalto.
Avanziamo un programma di difesa dei diritti del lavoro, dei diritti ambientali, dei diritti democratici e di partecipazione della società, obbiettivi che in queste settimane abbiamo discusso con diverse forze sociali e ambientaliste, sedimentando una comune volontà di lavorare insieme sui contenuti concreti.
Ci battiamo perché i costi della crisi non siano, ancora una volta, fatti pagare alle classi popolari in termini di riduzione del reddito, di disoccupazione, di distruzione del territorio e dell’ambiente.

E proponiamo una lista di candidature che esprimano questo programma e la realtà del mondo del lavoro della nostra provincia: giovani studentesse e studenti, lavoratrici/tori precarie/i, insegnanti, di ambientaliste/i, ma anche soprattutto operai e operaie di piccole e grandi fabbriche e delle nuove realtà di sfruttamento che sono i call center. Ne fa parte anche un compagno del Partito umanista che vi è entrato a titolo individuale, ma che esprime la volontà delle due organizzazioni di continuare una avviata positiva collaborazione.

Martedì 28 aprile alle ore 11,30
Sala dell’Antico Macello
Via Matteo Pescatore, angolo via Vanchiglia
Conferenza stampa
di presentazione del candidato Presidente, delle candidature
e del programma elettorale di Sinistra Critica

domenica 26 aprile 2009

AMBIENTE, VEGETARISMO, ANIMALISMO


Il mondo moderno industrializzato minaccia l’ambiente in più modi. Si discute da anni come porvi rimedio, ma viene sempre trascurato un fattore fondamentale: l’allevamento di bovini e altri animali per l’alimentazione umana.
L’allevamento su vasta scala sia intensivo, dove gli animali sono costretti a vivere in modo incompatibile con le loro esigenze etologiche e fisiologiche, che estensivo, è insostenibile dal punto di vista ecologico,
La metà delle terre fertili viene usata per coltivare cereali, semi oleosi, foraggi ecc, da destinare agli animali. Si distruggono ogni anno migliaia di ettari di foresta fluviale, il polmone verde del pianeta, per fare spazio a nuovi pascoli a nuovi terreni da coltivare per gli animali, che in breve tempo si desertificano.
Per dare un’idea delle dimensioni del problema si pensi che ogni hamburgher importato dall’America Centrale comporta l’abbattimento e la trasformazione a pascolo di circa sei metri quadrati di foresta. Dopo pochi anni il suolo diventa sterile e gli allevatori passano ad abbattere un’altra foresta. Gli alberi abbattuti non vengono commercializzati, è più conveniente bruciarli sul posto.
Nelle zone più povere della terra è stato incentivato lo sfruttamento del suolo per le produzioni di cereali destinate ad essere esportate e successivamente utilizzate come mangime per l’allevamento intensivo, bestiame che si trasforma in tonnellate di carne e va a costituire la dieta squilibrata del Nord del mondo, dove l’emergenza sanitaria è ormai costituita dalla crescita dell’ obesità e da tutte le malattie connesse alla sovralimentazione e all’eccessivo consumo di prodotti animali, mentre il Sud del mondo si vede sottrarre le proteine vegetali con cui potrebbe garantire la sopravvivenza ai suoi abitanti.
Per ricavare raccolti sempre più abbondanti si fa un uso smodato di fertilizzanti che uccidono gli insetti nocivi per le colture ed erbicidi che uccidono le piante nocive, prodotti chimici che inquinano il suolo, l’acqua ed il cibo stesso, portando a zero la produttività di queste terre.
L’uso massiccio di fertilizzanti è impiegato alla pratica della monocoltura, che consente un’industrializzazione spinta: vengono standardizzate le tipologie di intervento, i macchinari, i tempi di lavoro, se i suoli fossero destinati a coltivazioni a rotazione per uso diretto umano, i prodotti chimici non sarebbero necessari, perché il suolo rimarrebbe fertile.
Nel trasformare vegetali in proteine animali, un’ingente quantità delle proteine e dell’energia contenute nei vegetali viene sprecata: il cibo serve infatti a sostenere il metabolismo degli animali allevati, ed inoltre vanno considerati i tessuti non commestibili come ossa, cartilagini e frattaglie e le feci. Esiste il cosidetto “indice di conversione” che misura la quantità di cibo necessaria a far crescere di 1 kg l’animale.
a un vitello per crescere servono 13 kg di mangime per aumentare di 1 kg
a un vitellone (un bue giovane) ne servono 11
a un agnello ne servono 24.
I polli ne richiedono solo 3 kg di cibo per peso corporeo.
Se si considerano anche gli scarti queste quantità vanno raddoppiate.
Un bovino ad esempio, ha un’efficienza di conversione delle proteine animali di solo il 6%, consumando 790 kg di proteine vegetali, produce solo 50 kg di proteine animali.
Il 70% dell’acqua consumata sul pianeta è destinata alla zootecnia e all’agricoltura, i cui prodotti servono per la maggior parte a nutrire gli animali.
Una vacca da latte beve 200 litri di acqua al giorno, un bovino o un cavallo 50 litri, un maiale 20 e una pecora circa 10. Gli allevamenti consumano una quantità d’acqua maggiore di quella necessaria per coltivare soia, cereali o verdure per il consumo umano.
Le deiazioni degli animali da allevamento, milioni di tonnellate all’anno, hanno scarso contenuto organico e non possono essere usate come fertilizzati., lo smaltimento avviene per spandimento sul terreno e provoca un grave problema di inquinamento da sostanze azotate nelle falde acquifere, nei corsi d’acqua di superficie ecc.
Le parti di “scarto” degli animali uccisi, non utilizzabili: la testa, i visceri, gli zoccoli, il contenuto dell’intestino, le cartilagini, le ghiandole, fino a poco tempo fa venivano essicate e tritate in farine carnee. Dopo il caso “mucca pazza” questo non è più legalmente possibile!!
La pelle è usata nell’industria conciaria, che è una delle più inquinanti, responsabile dell’acidificazione di vasti territori agricoli e rende non potabili le acque della zona in cui sorgono.
E’ dimostrato come l’alimentazione basata sul consumo di carne da allevamenti sia negativa per l’ambiente, aggravi il problema della denutrizione nel mondo, sia crudele con gli animali e danneggi la salute.
E’ NECESSARIA UNA BATTAGLIA COMUNE, AFFINCHE’UN MAGGIOR NUMERO DI PERSONE PASSI AD UNA DIETA VEGETARIANA/VEGANA!!!


Movimento Animalista
Sinistra Critica Torino

venerdì 24 aprile 2009

LA SOLITA FIAT



Mentre Marchionne va avanti e indietro tra le due sponde dell’Atlantico per realizzare lo sbarco della Fiat negli Usa acquisendo la Chrysler e cercando di imporre un accordo molto duro ai sindacati e i lavoratori americani che dovrebbero accettare una drastica riduzione dei loro salari e dei loro diritti, qui, a Torino, la direzione aziendale cerca di imporre l’ennesima forzatura autoritaria alla Powertrain di Mirafiori.
Non solo da parecchie settimane comanda i lavoratori il sabato sui due turni, per imporre il suo arbitrio, a prescindere da reali esigenze produttive, perché nella quasi totalità degli stabilimenti del gruppo si preannunciano altri lunghi periodi di cassa integrazione, non solo utilizza i soliti vecchi metodi di intimidazione nei confronti di delegati e lavoratori che partecipano allo sciopero dichiarato nei sabati, ma anche vuole imporre il lavoro sui due turni nella giornata del 25 aprile.
E’ una vera e propria provocazione perché il 25 aprile simboleggia la sconfitta della dittatura fascista, la riconquista della libertà politiche e dei diritti sindacali e di organizzazione del movimento dei lavoratori. Va respinta con forza con la mobilitazione.
Sinistra Critica esprime la propria solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori della Powertrain in lotta e parteciperà al presidio indetto domani alle 13 alla porta 20 di Mirafiori.

SINISTRA CRITICA Torino

Torino, 24 aprile 2009

Dal "manifesto": Turigliatto e le autocritiche


Con due lettere al manifesto (vai in fondo all'articolo), prima Rina Gagliardi e poi Giovanni Russo Spena - capogruppo e vicecapogruppo del Prc al Senato nella passata legislatura - hanno fatto "autocritica" per l'espulsione di Franco Turigliatto. Pubblichiamo qui la risposta di Malabarba, a nome di Sinistra Critica, e altre lettere tutte apparse sul manifesto.

A volte i fallimenti politici, come quello della «rifondazione comunista», si annunciano con una precipitazione simbolica. L'espulsione di Franco Turigliatto per non aver votato il sostegno alle politiche di guerra del governo Prodi - di cui si sono autocriticati in rapida successione su queste pagine esponenti autorevoli delle aree vendoliana e ferreriana, come Rina Gagliardi e Giovanni Russo Spena - ha questa valenza simbolica. Pensare ora di recuperare le rotture nei confronti della sinistra anticapitalistica, proprio mentre ci si riunifica nei fatti con le componenti più governiste e ministeriali (nonché giustificazioniste nei confronti delle guerre), potrebbe essere sospetto di ipocrisia. O di spregiudicata incoerenza. L'auspicabile svolta del Prc che avrebbe permesso un accordo con Sinistra Critica per le elezioni europee non si è prodotta, confermando quella persistente ambiguità che tanti guasti ha prodotto nella sinistra di classe.
Gigi Malabarba, Sinistra Critica

Ci vuole una riparazione
L'autocritica su Turigliatto di Russo Spena e Gagliardi suona davvero un po' troppo tardiva. La grande sofferenza dell'intero gruppo del Prc, come dice Russo Spena sul manifesto non si è avvertita allora e poi al di fuori del partito bertinottiano. Per sanare quella frattura (che per molte/i di noi, fu un motivo in più per non andare a votare) non basta il dolore di oggi: che la dirigenza dell'attuale Prc faccia marcia indietro, che ci assicuri che non si voteranno più missioni di guerra travestite da missioni di pace, che non ci sarà mai posto per nessuna/o che voterà la guerra, che si facciano le pubbliche scuse a Franco Turigliatto e a chi come lui è stato tacciato ai tempi di «violenza nei confronti della comunità del partito»: queste le parole dei dirigenti del Prc del tempo per voce di Russo Spena che leggemmo sul manifesto. Perché non metterlo come capolista per le europee come segno minimo di riparazione di un torto davvero ignobile? Tengo a precisare che non sono di Sinistra Critica, che non conosco personalmente Turigliatto ma ne conosco la dignitosissima storia politica, dalla Fiat al Parlamento, volutamente interrotta dal gruppo dirigente del partito bertinottiano. E' ora di riparare pubblicamente, è ora di scusarsi con gli elettori costretti al non voto e con il compagno cacciato dal partito come nella migliore tradizione del peggior stalinismo di casa nostra.
Teresa Gennari, Roma

Tanti gli errori
Sull'autocritica di Russo Spena (il manifesto di venerdì) vorrei solo dire che «l'errore» su Turigliatto non è stato il primo e «il più grande errore del Prc». Per una seria analisi bisogna partire da prima, da quando leggemmo tutti sul giornale che il Prc era pronto a prendersi la responsabilità di avere dei ministri nel governo Prodi senza una discussione nei circoli coi compagni. Io credo che quegli stessi allora scettici riguardo al cambiamento che Bertinotti era certo fosse avvenuto nei Ds dopo 5 anni di Berlusconi, sono poi quelli che se ne sono andati a Sinistra critica quando la sua intuizione si rivelò fallimentare. Una bella discussione dei tanti errori non mi sembra ci sia mai stata, a partire dalla scelta di Bertinotti di fare il presidente della camera all'espulsione di Turigliatto, forse è per questo che sono seguite scissioni su scissioni. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare, come dei gabbiani «ipotetici». E ora? Anche ora ci si sente come in due, da una parte l'uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall'altra il gabbiano, senza più neanche l'intenzione del volo, perché ormai il sogno si era rattrappito.
Enrica Paccoi

L'autocritica di Russo Spena
E' stato anche un mio errore
Concordo con l'autocritica di Rina Gagliardi per quanto riguarda Franco Turigliatto. L'intero gruppo dirigente del Prc (in verità con grande sofferenza) ha gestito all'epoca del governo Prodi l'allontanamento di Turigliatto. E' stato l'errore più grande della mia vita politica, come io stesso e altri dirigenti del Prc hanno detto già al congresso di Chianciano. Franco Turigliatto da 30 anni è uno dei compagni che stimo e amo di più. Vorremmo tutti che fosse politicamente sanata nel futuro quella ferita, anche con un rapporto politico serio tra Prc e Sinistra critica.
Giovanni Russo Spena

...e quella di Rina Gagliardi
PRC, UNA FORZA CHE NON FA MALE NÉ PAURA
Giuseppe Prestipino e Marco Di Branco mi hanno accusato (manifesto di martedì 14 aprile) nientemeno che di triplo culto della personalità: bertinottiana, giordaniana, sansonettiana... Dio mio, potrei esser tacciata di molti altri culti e passioni politico-musicali (marxiana, luxemburghiana, benjaminiana, ingraiana, mozartiana, callasiana), ma non credo che questo interessi più di tanto i lettori del manifesto. Ai quali, però, vorrei spiegare il senso di quell'affermazione («il Prc non esiste più») che certamente aveva il demerito di essere molto sintetica. Si trattava, è ovvio, di un giudizio politico sulla politica attuale e, soprattutto, sulla cultura politica oggi dominante del Prc. Dalla quale mi appare desaparecido il sostantivo: quel tentativo, perseguito per quasi tre lustri, di uscire da sinistra dalla crisi del comunismo novecentesco, così come si era configurato nel «campo socialista» e nell'ortodossia del Diamat. Si può certo dichiarare di non aver mai condiviso questa sfida e di considerarla fallimentare - e in effetti il recente articolo di Burgio e Grassi sul manifesto, questo dichiara a chiare lettere. Si può tornare, anche a proposito di Stalin, a un cattivo storicismo, nutrito di giustificazionismo e di «realismo» - come fa l'ultimo libro di Domenico Lo Surdo, tornato a occupare il ruolo di intellettuale di riferimento del Prc... Ma non si può negare che il progetto politico e strategico, che ha consentito a una forza politica piccola come Rc di svolgere un ruolo protagonistico nella scena sociale e istituzionale (non solo italiana), non c'è più.
Detto tutto questo, per me, il Prc non è certo diventata una forza «nemica» o da combattere: semplicemente, nel suo oscillare tra pratiche «sociali», tipiche della nuova sinistra degli anni '70 e una cornice ideologica neo-ortodossa, mi appare del tutto inadeguato alla fase che stiamo vivendo. O meglio, adeguata alla più che incipiente americanizzazione della politica. Un piccolo Partito comunista (quale risulterà entro breve dalla unificazione Prc-Pdci, già scritta nel cartello elettorale di oggi) può certo sopravvivere e anche disporre di uno stabile spazio elettorale). Ma non fa né male né paura a nessuno.
p.s. A Marco Di Branco, il lettore che plaude alla cacciata di Piero Sansonetti da Liberazione e lamenta quella di Franco Turigliatto dal gruppo senatoriale del Prc-Se, chiederei una modesta coerenza in più. In ogni caso, quella cacciata, gestita da Giovanni Russo Spena (oggi come allora esponente di primo piano della maggioranza del Prc) e votata, mi pare, da tutti i senatori, è stata un errore. Per quanto mi riguarda, sento il dovere di esprimere una seria autocritica. E tu?

giovedì 23 aprile 2009

Abruzzo: la vostra sabbia non la paghiamo !


pubblichiamo in anteprima l'editoriale del prossimo numero della rivista Erre
di Daniele D'Ambra

In questi giorni un'imponente campagna mediatica si è concentrata sul terremoto in Abruzzo con i suoi 296 morti, decine di migliaia di sfollati, una provincia praticamente da ricostruire. Premessa alla base della narrazione è stata l'imprevedibilità di fenomeni naturali di questo tipo, con un allusione neanche troppo velata all'inevitabilità di quanto accaduto. A completare l'opera e a darne forza la cornice dei soccorsi, esaltati per efficacia e tempestività. Qualsiasi voce fuori da questo coro - come dimostra la censura su Annozero di Michele Santoro - è stata pesantemente attaccata e messa a tacere.
Ma se la comunità scientifica è effettivamente divisa sulla possibilità di previsione dei terremoti, quel che invece appare chiaro è che la tragedia in Abruzzo era ampiamente prevenibile e poteva essere evitata. Come rivela uno studio del prof. Martelli, docente all'università di Ferrara e presidente dell'Associazione nazionale di ingegneria sismica, un terremoto di grado 7 della scala Richter (la scossa maggiore in Abruzzo è stata di grado 5,8) nell'Appennino meridionale provocherebbe tra i 5000 e gli 11000 morti, in Giappone “solo” 50.1 Nell'isola nipponica di scosse, come quelle dell'Aquila, ce ne sono diverse ogni anno e non lasciano dietro quel che abbiamo visto nelle ultime settimane.
A uccidere centinaia di persone non è stato lo slittamento di una faglia superficiale, ma il crollo di edifici che a rigor di logica non avrebbero dovuto riportare particolari danni a fronte di un evento sismico di tale entità e a fronte della normativa vigente in Italia sui criteri antisismici di costruzione. Il problema è che costruire in base ai suddetti criteri “comporta un aumento dei costi del 3-5%”2, una riduzione dei profitti a quanto pare inaccettabile per i costruttori. Ancora una volta le nostre vite, in questo caso le vite delle popolazioni abruzzesi, vengono subordinate ai profitti e - piuttosto che aumentare minimamente i costi del costruito - si preferisce mettere a rischio l'incolumità di chi, inconsapevole di tutto questo, quelle case le ha comprate o le ha abitate in affitto. Ancor più grave è il fatto che una parte degli edifici crollati sia di utilizzo pubblico, fra tutti l'ospedale San Salvatore e la Casa dello Studente, ristrutturata appena 3 anni fa.
Esprimere cordoglio per le vittime, solidarietà alle popolazioni colpite, impegnarsi, come stiamo facendo con molti altri soggetti di movimento- vedi www.epicentrosolidale.org -, nell’aiuto concreto alle decine di migliaia di sfollati, non significa quindi tacere la denuncia delle responsabilità di quanto accaduto. Anzi, la stessa costituzione di un coordinamento di attivisti locali e nazionali come Epicentro Solidale, oltre ad occuparsi della raccolta e della distribuzione d'aiuti in base ai bisogni materiali delle popolazioni colpite, allude già alla necessità di un Osservatorio permanente che vigili dal basso tanto sulla gestione dell'emergenza quanto sulle modalità con cui si progetterà e realizzerà la ricostruzione. Perché quanto successo non torni a ripetersi.
Ma la tragedia abruzzese chiama in causa la logica generale di un’economia, e di una politica, che preferiscono “spendere” periodicamente alcune centinaia (quando non migliaia, come in Irpinia) di vite umane piuttosto che accollarsi i costi della sicurezza ambientale, della tutela di un territorio estremamente fragile e devastato da decenni di speculazioni. La tragedia abruzzese parla, perfino nei nomi delle ditte coinvolte, di altri scandali ambientali e di altre popolazioni calpestate nei loro diritti, non a caso la famigerata Impregilo, ditta costruttrice dell’ospedale dell’Aquila inaugurato nel 2000 e miseramente crollato durante il terremoto, è la stessa responsabile dell’emergenza rifiuti in Campania, la stessa vincitrice dell’appalto per il Ponte sullo Stretto e che partecipa alla realizzazione della Tav.
La logica che ha provocato il dramma abruzzese vede accomunati, nelle responsabilità, i costruttori che risparmiano sulla sicurezza per aumentare i profitti, gli amministratori che privilegiano gli interessi di pochi imprenditori del mattone a scapito della vita dei cittadini, il governo che vede nel terremoto solo un’occasione per un po’ di propaganda mediatica o, peggio, per far ripartire l’economia.
Proprio su questo terreno si giocherà la partita più importante, quella della ricostruzione. Con occhio cinico rivolto alla crisi economica il governo ha dapprima rifiutato qualsiasi aiuto estero, per poi destinare i fondi accettati alla ricostruzione dei beni culturali danneggiati. Della ricostruzione degli edifici, pubblici e privati, dovrebbero invece occuparsi le imprese edilizie nostrane attraverso i fondi messi a disposizione dallo Stato e dagli enti locali. Quale occasione migliore per far ripartire l'economia nazionale se non quella di regalare ingenti risorse pubbliche alle imprese, con il rischio che siano proprio quelle corresponsabili di quanto accaduto ad occuparsene?
La ricostruzione, invece, andrebbe fatta pagare a chi è stato responsabile dei crolli ed, in generale, a chi in questi anni ha fatto profitti miliardari sulla speculazione edilizia, magari immaginando una tassa di scopo per le imprese edili vincitrici di appalti pubblici e per i grandi profitti. Parafrasando lo slogan del movimento studentesco, ormai adottato da molti soggetti in lotta, dovremmo affermare con forza che “noi la vostra sabbia non la paghiamo”, anche perché gli abruzzesi l’hanno già pagata molto cara, con 300 morti!
Un'altra idea di sviluppo economico e territoriale è necessaria. Il modello dettato dal libero mercato e dal profitto ha tragicamente fallito, ha provocato morti e la distruzione di interi agglomerati urbani, mostrando il proprio fallimento nella gestione del territorio. Serve invece un modello di vera e propria pianificazione territoriale ecologicamente orientata che offra una visione d'insieme, uno sviluppo coerente con l'ambiente e le necessità delle popolazioni locali Serve un modello alternativo in cui si spendano milioni per geologi e vigili del fuoco e nessun euro per mandare soldati all’estero; in cui si lavori alla ristrutturazione sociale e urbanistica delle città bloccando la speculazione edilizia. L’anticapitalismo è spesso indicato come scelta ideologica, mai come in queste occasioni se ne può cogliere l’attualità e l’efficacia ai fini di una vita sicura, degna di questo nome.
Ora, nel momento in cui si affaccia l’urgenza della ricostruzione diviene centrale il tema della partecipazione degli sfollati. L'invito grottesco del premier Berlusconi alle popolazioni abruzzesi ad andare “lì sulla costa, noi ci prenderemo cura delle vostre case..sarete serviti e riveriti” parla in realtà dei precisi intenti del governo. Le popolazioni abruzzesi non devono avere voce nel capitolo della ricostruzione, a quella penseranno il governo e le imprese; perché mai preoccuparsi di chi già si è reso responsabile di costruzioni così ben fatte? Anzi, spostandosi in avanti sull'onda dell'emergenza si possono far passare scelte politiche di difficile accettazione in tempi di normalità, come la privatizzazione di servizi pubblici e deturpazioni ambientali di ogni genere, vedi il progetto della “New Town”.
Fortunatamente non sembra pensarla così chi è nei circa 140 campi allestiti dalla Protezione Civile. In questi giorni in molti stanno costituendo Comitati volti al controllo ed alla possibilità di incidere sulla ricostruzione. Giocherà un ruolo determinante la capacità di far pesare la propria voce, di acquisire potere decisionale da parte dei comitati, e di stabilire tra loro una forma di coordinamento stabile che ne rafforzi l'azione nel ripensare e ricostruire il proprio territorio. Una ricostruzione che dovrà quindi essere determinata in primo luogo dalle necessità e dalla volontà della cittadinanza colpita e non calata dall'alto, ancora una volta guidata dal profitto e dagli interessi delle imprese pronte a speculare anche in questo contesto tragico. Il primo banco di prova per i Comitati sarà proprio il controllo sugli attori istituzionali e i primi interventi che verranno realizzati, così come sulle imprese che se ne occuperanno. La funzione di Osservatorio risulterà centrale in un contesto in cui le ingenti cifre degli investimenti pubblici muoveranno molti interessi, spesso contrapposti a quelli della popolazione. L'autorganizzazione degli sfollati potrà essere l'unica arma contro una ricostruzione selvaggia e in mano alla speculazione, l'unico modo affinché il controllo dal basso della cittadinanza possa determinare le scelte e verificare il rispetto di norme e criteri di costruzione, trasformando la tragedia in possibilità.
La possibilità che questa emergenza la paghi chi l'ha causata e decida sulla ricostruzione chi l'ha subita. Almeno questa volta.

martedì 21 aprile 2009

DEMOCRAZIA E DIRITTI DELLE/DEI MIGRANTI


Nella provincia di Torino il numero delle lavoratrici e dei lavoratori migranti è elevato e, come nel resto del territorio nazionale, costituisce una realtà consolidata. Una realtà che ha contribuito a generare ricchezza e a sostenere servizi.
Il territorio della provincia di Torino non è esente dalle conseguenze di campagne ideologiche che additano i migranti come causa del degrado sociale. Campagne mistificatorie vogliono nascondere le responsabilità delle classi dominanti e del loro fallimentare modello economico liberista che ha portato tante donne e tanti uomini alla disperazione sociale.
In ogni caso campagne medianiche xenofobe e proposte di legge discriminatorie hanno determinato un clima sociale di diffidenza nei confronti dei migranti che danneggia tutti.
La Provincia deve investire risorse per contrastare, materialmente e culturalmente, la deriva xenofoba e razzista.
In particolare deve:
1) dichiarare la propria assoluta contrarietà ad avere nel proprio territorio i “Centri di Identificazione ed Espulsione” non perché pericolosi per l’ordine sociale bensì in quanto aberranti strutture che recludono donne e uomini che hanno cercato in Italia lavoro e condizioni migliori di vita.
2) dichiarare la propria assoluta contrarietà a leggi che siano in conflitto con i diritti fondamentali sanciti dall’ONU, in particolare per quanto riguarda il diritto alla salute e il diritto allo studio.
3) inserire nel proprio Statuto, come hanno già fatto altri enti locali, il diritto di voto attivo e passivo per tutte/i le/i migranti con regolare permesso di soggiorno; una misura che, sebbene non applicabile immediatamente in assenza di un riferimento legislativo azionale, assume comunque un alto valore simbolico.

Le leggi italiane considerano un reato i comportamenti razzisti e prevedono forme di protezione per chi viene sottoposto a condizioni di brutale sfruttamento ma vengono disattese.
La Provincia deve predisporre appositi uffici di sostegno alle/ai migranti che subiscono aggressioni razziste o pesanti discriminazioni sul lavoro legate alla propria condizione di straniero.
Questo servizio deve servire anche da monitoraggio su quanto accade nel mondo del lavoro: difendere il diritti del lavoratore più ricattabile significa difendere i diritti di tutti i lavoratori anche in un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo.
Questi uffici devono essere diffusi nel territorio (collocati nei centri per l’impiego ma no solo) e deve esserci una costante campagna promozionale ed informativa. Uffici in grado non solo di informare e monitorare ma anche di fornire, ove occorra, un sostegno legale.

ORIENTAMENTO AL LAVORO

La Provincia, in collaborazione con i Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (Statali), deve riappropriarsi di compiti di orientamento alla formazione e al lavoro per tutti i cittadini, italiani e stranieri. E’ necessario che personale pubblico della Provincia sia addetto ad individuare i percorsi di orientamento in modo da impedire lo spreco di denaro pubblico attuale determinato dalla commistione tra strutture di orientamento ed enti di formazione.

ENNIO AVANZI

sabato 18 aprile 2009

La leggenda nera di Losurdo (e le rettifiche di Canfora)


La leggenda nera di Losurdo (e le rettifiche di Canfora)
Liberazione è stata attraversata nei giorni di Pasqua da una dura polemica interna - vedi di seguito a questo articolo - relativa alla recensione del libro di Domenico Losurdo (Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, con un saggio di Luciano Canfora, Carocci, Roma, 2008). Pubblichiamo qui la recensione apparsa sull'ultimo numero di Erre.

di Antonio Moscato
Domenico Losurdo è tornato con prolissità sul suo chiodo fisso: Stalin sarebbe stato vittima di una campagna di denigrazione sistematica, di una "leggenda nera".
Già la scelta del termine è discutibile ma, vedremo, non casuale: è quello con cui in Spagna si è tentato di negare l'orrore dello sterminio degli indigeni nelle Americhe, attribuendolo appunto a una "leggenda" creata da paesi ostili e concorrenti nella feroce conquista del mondo extraeuropeo. Ma non si tratta solo del titolo.
Losurdo, come storico è una frana, e come polemista ancor peggio: sceglie come bersagli autori più che discutibili. Il primo bersaglio è Chrusciov, che evidentemente egli conosce poco. Soprattutto prende per buono il suo "antistalinismo", e pensa che sia stato accolto con entusiasmo dai trotskisti (la cui produzione ignora completamente), che invece avevano detto subito che il successore di Stalin cercava solo di scrollarsi di dosso ogni responsabilità per la lunga e stretta collaborazione con il dittatore.
L'altra fonte scelta per polemizzare facilmente è il famoso Libro nero del comunismo, o meglio la sua inattendibile introduzione a cura di Stéphane Courtois, ignorando che in realtà la parte sull'Urss curata da Nicolas Werth non è poi così fantasiosa e "ideologica". Comunque Losurdo ignora tutte le testimonianze storiche non apologetiche, e si concentra molto su alcune esaltazioni di Stalin fatte da illustri conservatori senza domandarsi perché a questi signori Stalin piaceva tanto.
Così riporta con entusiasmo il giudizio positivo di Churchill (poteva ricordare anche quello di Ribbentrop...) o quello di De Gasperi, che esalta Stalin come un genio.
Del Gulag Losurdo dice che c'è poco da scandalizzarsi, dato che campi di concentramento per i nemici e gli stranieri c'erano anche in occidente. Vero, ma che c'entra? A che serviva una rivoluzione, se poi si dovevano fare le stesse cose che facevano gli altri? Losurdo non si pone la domanda e si direbbe che, nonostante qualche proclamazione verbale, non sia un rivoluzionario ma piuttosto un conservatore. A parte gli argomenti che giustificano come inevitabile tutto quel che è accaduto, nel libro ci sono comunque tante sciocchezze e inesattezze che non varrebbe la pena di parlarne. Lo facciamo solo perché si tratta di una sistematizzazione di un pensiero abbastanza diffuso in alcuni settori della sinistra, non solo "estrema". Un pensiero che nasce da un amore per "l'ordine" che regnava in Urss prima del suo crollo, su cui peraltro Losurdo non si interroga se non di sfuggita, insinuando che sarebbe stato il prodotto di vari "demolitori" al servizio dell'avversario.
Losurdo ignora completamente la immensa letteratura sovietica sui Gulag (ignora Solzhenicyn e Salamov, Grossman e Rybakov, la Ginzburg e la Mandelstam e centinaia di altri che lo stalinismo l'hanno anche provato sulla loro pelle o su quella dei loro cari), e si basa invece ad esempio su un pamphlet giovanile di ... Curzio Malaparte, per ridurre il terrore staliniano alla legittima risposta a un tentativo di "colpo di Stato delle opposizioni".
Colpo di Stato sarebbe stato il disperato tentativo di stampare al ciclostile le tesi dell'Opposizione di sinistra nel 1927, e di sfilare con scritte contro la burocrazia nel XX anniversario della Rivoluzione d'Ottobre. Losurdo arriva fino a non citare la lettera di Gramsci del 1926, che criticava l'allontanamento dal partito di Trotskij e altri, e che fu bloccata da Togliatti e Bucharin, mentre invece usa qualche frase sibillina dei Quaderni per contrapporre un presunto internazionalismo di Stalin al "cosmopolitismo" di Trotskij. L'accusa nell'Urss staliniana alludeva pudicamente alle origini ebraiche, ma Losurdo non lo ammette: arriva anzi a dire che il "complotto dei medici" smentirebbe l'antisemitismo di Stalin: "dopo tutto, sino alla fine, egli ha affidato ad ebrei la cura della sua salute".
Ma oltre al testo di Losurdo va notato anche che il saggio di Luciano Canfora aggiunto alla fine del libro appare di fatto più che un'integrazione, una presa di distanza. Canfora è stato per anni ispiratore di Losurdo, ma è più intelligente e relativamente più colto e, anche se in passato non sempre lo aveva applicato alla storia contemporanea, è padrone del mestiere di storico; questa volta lo ha usato meglio: ha quindi lasciato cadere molte delle tesi che sosteneva in un passato non lontano, come quella del "Rapporto segreto" manipolato dalla Cia, o quella che asseriva la inevitabilità e giustezza del patto russo-tedesco del 1939.
A questo proposito, ad esempio, Canfora dice: "Le motivazioni addotte dopo, secondo cui il patto era stato stretto per «prepararsi» meglio, per prendere tempo rispetto ad un successivo attacco tedesco, sono probabilmente motivazioni costruite post eventum: non è affatto detto che Stalin ritenesse davvero inevitabile l'attacco tedesco contro l'Urss; ed anzi lo stato di impreparazione in cui l'operazione Barbarossa trovò le linee sovietiche farebbe pensare il contrario."
Non è poco, e soprattutto è esattamente il contrario di quanto asseriva pochi anni fa.
Ma niente illusioni, nel saggio di Canfora di errori macroscopici (nell'interpretazione del ruolo di Stalin nella rivoluzione spagnola, o sulla inesistenza di una rivoluzione in Germania e in Austria durante le trattative di Brest Litovsk) ce ne sono ancora tanti. Ci sono però anche le tracce di un'evoluzione, inattesa dopo decenni di testardo giustificazionismo.
Per questo sono stato tentato dal nuovo libro di Canfora sui falsi nella storia, pur sapendo che in parte riciclava articoli già apparsi soprattutto sul "Corriere della sera". Così è infatti, ma la sorpresa è che egli abbandona alcuni suoi cavalli di battaglia, come appunto la presunta falsificazione del rapporto segreto, e quello ben più importante sulle interpolazioni nel "Testamento di Lenin".
Canfora ci tiene a presentarsi come una specie di Sherlock Holmes della filologia. A volte coglie nel segno, come nel caso della lettera di Ruggero Grieco che fece tanto indignare Gramsci in carcere, e che risulta essere stata interpolata dalla polizia fascista, e forse anche in quello del presunto "papiro di Artemidoro" a cui Canfora ha dedicato ben due libri.
La novità è che se qualcuno che egli stima lo avverte e gli fornisce una documentazione che lo smentisce, egli sa fare anche marcia indietro; magari concede un riconoscimento indiretto al suo mentore inserendolo in una lunga lista di coloro che "alla nascita di questo libro hanno contribuito, con generosità".
La maggior parte del libro è dedicata all'argomento, già trattato più volte, della lettera di Grieco a Gramsci, con non dissimulata polemica con Spriano, ed è un po' pedante e quindi pesante. Ma la prima parte, invece, dedicata al "testamento di Lenin", merita una certa attenzione. Avevo già letto anni fa - e non condiviso - quanto scriveva Canfora in proposito, ma sono stato spinto a rileggerlo da una nota che in maniera abbastanza ellittica diceva: "I dubbi che espressi anni addietro (Pensare la rivoluzione russa, Teti, Milano, 1995, p. 25) non paiono legittimi.".
La forma è cauta ma la correzione di linea è stata totale. Nel 1995 Canfora, che aveva scorso frettolosamente il materiale apparso negli ultimi anni dell'Urss e subito dopo il crollo, aveva sostenuto in quel libro che, se qualche modifica al testo originale era stata apportata, lo si doveva a una delle segretarie, L. Fotieva, di cui insinuava che fosse vicina a Trockij. Cosicché, pur avendo avuto tra le mani una descrizione dettagliata di come era avvenuta la falsificazione, Canfora concludeva: "C'è qualcosa di poco chiaro in questa narrazione, che sembra mirare unicamente a porre in luce negativa i comportamenti di Stalin". Grave colpa...
Oggi qualcuno gli ha fatto avere il testo di alcune interviste che lo storico sovietico Aleksandr Bek fece nel 1967 a due delle segretarie di Lenin, Lidija Fotieva e Marija Volodiceva, che avevano ammesso di aver consegnato in anteprima a Stalin quella parte del testo dettato da Lenin semiparalizzato, che esprimeva giudizi sui principali dirigenti del partito. Stalin, su cui il giudizio di Lenin era più severo, aveva ordinato di bruciare il foglio, ma si era salvata una copia, sia pur ritoccata aggiungendo una poco verosimile nota negativa anche su Trockij. Canfora riporta tutta la documentazione in appendice: la Fotieva, che per Canfora nel 1995 sarebbe stata simpatizzante di Trockij, cercava di negare tutto, screditando la collega; incalzata da Bek aveva finito però per ammettere l'episodio, dicendo che non poteva fare altro, dato che considerava Stalin un "grande uomo", un "genio" (e nel 1967 sperava anzi che il giudizio ufficiale su Stalin tornasse positivo...).
Così Canfora deve ammettere seccamente che "dall'insieme di questi dati risulta che Fotieva è un elemento che «si rapporta» a Stalin. La sua perfetta carriera in costante ascesa fino al pensionamento nel 1956 sembra confermarlo"
Ma la conclusione più generale è ancora più esplicita e sorprendente:
"Stalin aveva vinto, a suo tempo, la difficile partita politica anche grazie a quel minuscolo inserto abilmente innestato nella Lettera al Congresso: «Così come il non bolscevismo a Trockij» [la frase interpolata NdA]. Ma ha anche vinto, nel suo Paese, la partita storiografica; ha doppiato brillantemente persino gli scogli del XX e del XXII Congresso; ha vinto facendo «parlare» Lenin in modo del tutto incongruo, ma ormai anacronistico dopo il passaggio di Trockij coi bolscevichi ben prima della rivoluzione".
Speriamo che dopo questo primo passo, Canfora riveda con lo stesso rigore qualche altra delle sue conclusioni affrettate e "giustificazioniste" sullo stalinismo e sul suo principale interprete italiano, Palmiro Togliatti.
Ivi, p. 223
Ivi, p. 327
Su questo rinvio al mio Trockij e la pace necessaria.1918:la socialdemocrazia e la tragedia russa,Argo, Lecce, 2007.
Luciano Canfora, La storia falsa, Rizzoli, Milano, 2008.

Ivi p. 73
Ivi, p. 60.
Luciano Canfora le aveva espresse soprattutto nel suo Togliatti e i dilemmi della politica (Laterza, 1989) a cui avevo risposto con un ampio saggio dallo stesso titolo apparso sul numero 4 della rivista "A sinistra" del maggio 1989. La rivista è oggi ovviamente introvabile, ma posso inviare il testo a chi me lo richiede (antonio.moscato@alice.it).

Il socialismo alla prova del gulag
Tanti drammi per un simile risultato?
Manifestazione di ex militari dell´Armata rossa a Kiev, in Ucraina, il 14 ottobre di quest´anno ...

Guido Liguori
Stalin mostro sanguinario o politico realista costretto dalla storia a scelte obbligate? Nel suo ultimo libro ( Stalin. Storia e critica di una leggenda nera , con un saggio di Luciano Canfora, Carocci, pp. 382, euro 29,50) Domenico Losurdo opta per la seconda risposta. E' una tesi controcorrente e già per questo il libro è da leggere: opponendosi al "senso comune" prevalente fa pensare e induce a problematizzare ipotesi storiografiche che si danno ormai per acquisite.
Quale è l'idea di fondo di Losurdo? Le tesi interpretative del fenomeno staliniano che più hanno inciso - Trockij, Chruscev, Hannah Arendt - sono state determinate dalla lotta politica interna al campo comunista o dalla Guerra fredda. Da qui un «ritratto caricaturale» di Stalin che sottovaluta radicalmente il contesto concreto del suo operare. In questo contesto l'autore fa rientrare non solo la "lunga durata" della storia russa (i conflitti medioevali nelle campagne, l'odio per gli ebrei, il banditismo nato dalle carestie), non solo lo "stato d'eccezione" in cui si collocò l'esperienza sovietica, ma anche i lati deboli dell'ideologia marxista, un «universalismo incapace di sussumere e rispettare il particolare», le tendenze escatologiche che volevano abolire in tempo rapidi proprietà privata, nazione, famiglia, ecc.
Lo stesso Gulag si espande con la «collettivizzazione forzata dell'agricoltura». Come si spiegherebbe la cruciale svolta del '28-'29? Dopo il trattato di Locarno, il riavvicinamento Francia-Germania, il colpo di Stato di Pilsudski in Polonia, la rottura delle relazioni commerciali e diplomatiche da parte del Regno Unito, i militari sovietici lanciarono l'allarme: il pericolo di guerra aumentava, bisognava industrializzare e garantire la fedeltà delle campagne. Dopo la «notte di san Bartolomeo» (Bucharin) contro i contadini, Stalin avrebbe cercato di tornare alla normalità, tanto che Trockij nel 1935 lo accusò di «liberalismo» e di «abbandono del "sistema consiliare"», di «ritorno alla "democrazia borghese"». In effetti Stalin - per far decollare la produzione - si batte contro il «livellamento "sinistroide" dei salari», contro l'egualitarismo, e propugna una nuova Costituzione, come si sa poi rimasta sulla carta. Di nuovo irrompe infatti l'emergenza, e il terrore: Losurdo - che parte dall'esame di una letteratura internazionale molto amplia, e "anti-stalinista" - accredita il fatto che l'opposizione trockista fosse un "pericolo" reale ancora nella prima metà anni '30.
Dopo la guerra, ancora, Stalin dichiara che la dittatura del proletariato non era l'unica via al socialismo, non era obbligatoria nei paesi dell'Est europeo. Ma poi irrompe la Guerra fredda e la sicurezza nazionale dell'Urss riprende il sopravvento.
Di contro alla "cattiva" eredità dell'"utopismo" marxista Stalin impara dunque - per l'autore - la «vacuità dell'attesa messianica del dileguare dello Stato, della nazione, della religione, del mercato, del denaro, e ha altresì direttamente sperimentato l'effetto paralizzante di una visione dell'universale incline a bollare come una contaminazione l'attenzione prestata ai bisogni e agli interessi particolari di uno Stato, di una nazione, di una famiglia, di un individuo determinato». Ma - questo il suo limite per Losurdo - la lotta contro «l'utopia astratta» si ferma più volte a metà strada, per non entrare in totale rotta di collisione con alcuni degli assunti di fondo della cultura marxista e comunista. Insomma, nei tre decenni di "stalinismo" i ripetuti tentativi fatti da Stalin di abbandonare lo stato d'eccezione per tornare a una relativa normalità sarebbero stati frustrati sia dalla situazione internazionale, sia dall'utopia astratta presente nel marxismo, alimentata dall'opposizione interna. Con questa lettura di fondo, Losurdo dedica molte pagine a demolire la "leggenda" chruscioviana legata ai successi militari dell'invasore nazista; a sottolineare l'attenzione prestata da Stalin alle diverse "nazionalità"; a lodare il "realismo" stalinista a fronte delle tendenze di sinistra che volevano il superamento dello Stato, della famiglia, del denaro.
Losurdo riconosce e condanna la svolta brutale nel sistema concentrazionario che si ha nel '37. Ma sottolinea come nel Gulag sovietico non vi fosse volontà omicida, e dunque non sia possibile l'accostamento ai lager nazista: quando muoiono a migliaia nel Gulag, durante la guerra, muoiono di stenti a migliaia anche nel resto dell'Urss.
E' difficile seguire Losurdo, con la necessaria competenza critica, in tutte le pieghe del suo discorso. Alcune delle sue tesi (la critica al concetto di «totalitarismo», il rifiuto di considerare le decisioni del vertice sovietico come irrazionali, il richiamo al contesto storico) appaiono convincenti. Ciò che non convince è un discorso troppo portato a vedere sempre nella soluzione adottata la migliore delle soluzioni possibili e a sottovalutarne l'effetto disastroso sulla politica dell'egemonia (vedi la rottura dell'alleanza leninista operai-contadini) e nella costruzione stessa di una idea espansiva di socialismo. Si prenda ad esempio il Gulag: può uno Stato che si vuole socialista creare un sistema concentrazionario così vasto, in cui (anche se non sempre e ovunque) vi furono condizioni di vita - secondo le parole dello stesso Vysinskij, che Losurdo riporta - che ridussero «gli uomini "a bestie selvatiche"»? Non è già questo fatto una macchia indelebile per uno Stato che si voglia socialista? Non consola sapere che peggio fece - per fare un esempio - il Regno Unito con gli irlandesi o con i deportati in Australia: ciò che ci si aspetta da un sistema che fa dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo la sua legge non è giustificabile per uno Stato che nasce per combattere tale sfruttamento e tutto ciò che di "bestiale" vi è nell'umanità. E ancora: la situazione oggettiva aveva indotto a irrigidire l'organizzazione del lavoro, a rinunciare a un nuovo modo di intendere i rapporti tra i sessi, al superamento graduale dei limiti nazionali. Ma a questo punto non viene da chiedersi: valeva la pena di fare una rivoluzione? A cosa è servita? Credo di conoscere la risposta di Losurdo: enorme è stato comunque il sussulto di liberazione, milioni di persone si sono così liberate dal Medio Evo e dal colonialismo, in tutto il mondo. E' vero, e dunque viva la Rivoluzione russa! Ma sembra giusto anche concordare con quanto ha scritto Giuseppe Prestipino sull'ultimo numero di Critica marxista (2009/1): seguendo Losurdo arriviamo alla conclusione che nel '900 il socialismo era impossibile.
Resta la domanda se le scelte fatte nel corso del primo e fallimentare tentativo di costruzione del socialismo abbiano costruito almeno le basi per ritentare l'esperimento nel nuovo secolo o siano oggi un ostacolo in più per chi ci voglia riprovare. Da questo punto di vista lo storicismo giustificatorio di Losurdo - pur avendo alcune ragioni - sottovaluta la possibilità stessa di una alternativa rispetto all'effettivo svolgimento storico: un politico realista può anche diventare un mostro sanguinario, uccidendo così di fatto, ugualmente, la creatura che "con realismo" si propone di proteggere. E se ogni volontà di cambiare anche la qualità della vita quotidiana, i rapporti tra i generi e tra gli esseri umani, le gerarchie e l'alienazione dentro e fuori la fabbrica viene bollata come «utopismo escatologico e anarcoide», non si troveranno facilmente le forze, le volontà, le soggettività per riprendere il cammino.

Si vuole riabilitare
Stalin? Non ci stiamo

Ci ha molto amareggiato leggere ieri sulle pagine di "Liberazione" la recensione a un volume che definisce fin dal titolo come "leggenda nera" gran parte della storiografia esistente sulla vicenda storica e politica di Stalin. Recensione che si apre con l'apprezzamento del carattere «controcorrente», di opposizione al «senso comune» che renderebbe il volume capace di far «pensare». Recensione, poi, che quando passa ad assumere vesti "critiche" nei confronti del testo trattato, lo fa nella forma di "dubbi" del tenore seguente: «Può uno Stato che si vuole socialista creare un sistema concentrazionario tanto vasto...?». Come a dire d'un problema quantitativo, piuttosto che di sistema.
Di fronte ai milioni di morti che il sistema dei campi staliniani, la staliniana direzione della "pianificazione socialista" e la pratica staliniana delle purghe omicide degli stessi quadri rivoluzionari hanno lasciato dietro di sé, nella memoria collettiva del mondo intero e della cultura di sinistra in particolare, riteniamo che non ci sia nulla da aggiungere: non c'è interpretazione storica che tenga, piccoli o grandi tentativi revisionisti o negazionisti non possono riguardare la figura di un dittatore feroce e brutale. Oppure, viene da chiedersi, a quando una pagina intera di pubblicità gratuita, sotto veste di recensione "equilibrata", a testi di "rilettura", magari, delle gesta di Ceausescu o di Pol Pot?
Insomma: possiamo serenamente considerare chiuso il confronto su queste tragedie o dobbiamo davvero subirne "revisioni" addirittura apologetiche?
Se questo è ancora considerato da qualcuno come "il campo" della sinistra, o "dei comunisti", ci spiace: non ci stiamo. Queste vicende terrificanti e chi se ne è fatto interprete e animatore nel corso della Storia non possono appartenere, neppure in modo critico e "ragionato" ad alcuna ipotesi di liberazione. Non solo, riteniamo che pubblicare interventi che hanno al proprio centro ipotesi del genere, esplicite o inconscie - su questo come su altri temi -, che considerino come parte del confronto di idee tesi negazioniste (l'esistenza del negazionismo sull'Olocausto non esime certo dal giudicare quello sui crimini staliniani, proprio i "dibattiti" di Losurdo dovrebbero suggerirlo...) rappresenti un salto all'indietro. Specie per un giornale che aveva cercato fin qui di aprire spazi e di liberare energie, preferendo interrogarsi di continuo piuttosto che cercare rifugio nell'eterna riconferma di un'identità interpellata da una storia fatta anche, come indica proprio il caso di Stalin, di mostri e orrori.
Checchino Antonini, Angela Azzaro, Anubi D'Avossa Lussurgiu, Stefano Bocconetti, Guido Caldiron, Paolo Carotenuto, Simonetta Cossu, Carla Cotti, Sabrina Deligia, Laura Eduati, Roberto Farneti, Antonella Marrone, Martino Mazzonis, Andrea Milluzzi, Frida Nacinovich, Angela Nocioni, Paolo Persichetti, Paola Pittei, Sandro Podda, Stefania Podda

Non sono mai stato stalinista,
né uno "stalinista dell'antistalinismo"

Caro direttore, con vera sorpresa ho letto su Liberazione di ieri il documento di un gruppo di redattori che critica aspramente la mia recensione a un libro di Domenico Losurdo su Stalin pubblicata il giorno precedente. Vengo accusato, di fatto, di simpatie per lo stalinismo e per una sua presunta "riabilitazione". Penso che si tratti dell'ennesimo episodio di una storia che non mi appartiene, quella della guerra interna al Prc e più in particolare al suo giornale. L'evidente strumentalità del documento non ne rende però più accettabili i contenuti, che sono in gran parte una mera falsificazione di quanto ho scritto. Si arriva addirittura a fingere di non capire l'uso della "domanda retorica" nella lingua italiana! Non solo tutti i miei scritti e la mia storia personale testimoniano dell'assurdità di tale accusa. Anche nello scritto in questione niente può essere interpretato in tal senso: in esso - come si dovrebbe fare in ogni recensione - ho prima riassunto il libro, ho riconosciuto la serietà della ricerca (perché a mio giudizio così è: ma almeno anche uno solo degli scriventi lo avrà letto?), ne ho contestato infine, inequivocabilmente, l'impianto complessivo. Cosa avrei invece dovuto fare? Mettere insieme una sequela di insulti e pronunciare una scomunica? Mi dispiace, questo stile non mi appartiene, non sono né voglio essere uno "stalinista dell'antistalinismo". Sono uno "studioso appassionato" e come tale continuo a leggere, a riflettere, a dare un contributo - nell'ambito delle mie capacità - anche sulla "nostra" (di noi comunisti) storia più controversa. Non mi interessano le verità di partito proclamate una volta per tutte a chissà quale congresso. Preferisco la ricerca e le letture che mettono in dubbio certezze e danno luogo a un dibattito libero. Solo da questo confronto fra posizioni diverse una comunità scientifica o politica può avanzare verso un'opinione condivisa dai più. Invio a te e a tutti coloro che sono impegnati nel rilancio di Liberazione un sincero augurio di buon lavoro.
Guido Liguori

E' autoritaria la pretesa che vi siano
argomenti da mettere al bando

Dino Greco
Un gruppo di redattori di Liberazione ha sentito il bisogno di prendere carta e penna per contestare la recensione di Guido Liguori (vicepresidente dell'International Gramsci Society e caporedattore di Critica Marxista ) del libro di Domenico Losurdo, "Stalin. Storia e critica di una leggenda nera", apparsa su Liberazione venerdì scorso. I bersagli della lettera sono, palesemente, due: l'autore della recensione, imputato, nientemeno, di avere offerto eco ad una "revisione apologetica" della figura di Stalin; e il direttore del giornale che, corrivamente, ne ha autorizzato la pubblicazione. Risponderò, brevemente, tanto alla questione di merito, relativa cioè al contenuto della recensione, quanto alle ragioni, del tutto conseguenti, che mi hanno fatto considerare utile proporla ai lettori.
La contestualizzazione di un evento o, addirittura, di una lunga catena di eventi, prodotta con rigore filologico e attraverso una seria ed approfondita ricognizione delle fonti, dovrebbe essere un imperativo categorico per chiunque voglia criticamente e non ideologicamente (o propagandisticamente) ragionare sul passato e, in definitiva, sul presente. I guai cominciano quando la contestualizzazione si trasforma in uno storicismo assoluto, in un fatale (e letale) giustificazionismo, per cui quel che è accaduto, nel modo come è accaduto, non poteva che verificarsi così. Come se gli esseri umani portassero sulle loro spalle la Storia. La quale procederebbe per la propria strada, secondo una deterministica concatenazione di cause ed effetti. Per cui, se al posto di Stalin vi fosse stato qualcun altro, questi non avrebbe potuto fare alcunché di diverso, ecc.
Un simile modo di procedere produce un'apparente scientificità, che ha il vizio di essere sempre dedotta a posteriori, deresponsabilizzando gli attori, i protagonisti della storia umana. Così, ogni valutazione di ordine storico, politico e morale diventa impossibile. Credo che nessuno sia tanto sciocco da pensare che gli esseri umani si muovano, in ogni epoca e condizione, come "libertà assoluta". Ognuno opera "in situazione" ed è nel suo agire codeterminato da una quantità di fattori. Codeterminato, ma non coartato. C'è sempre - o quasi sempre - sartrianamente, una possibilità di scelta. Ed è questa scelta che permette il giudizio di valore.
Davvero singolare, dunque, che chi - come Losurdo - esalta il significato anche euristico della soggettività, della rottura antideterministica, "rivoluzionaria", delle condizioni storicamente date, cada poi nell'errore di dimenticarsene del tutto quando ci fa intendere che ben poco dei tragici avvenimenti capitati nella Russia staliniana avrebbe potuto avere un corso diverso. Come invece è provato dalla durissima, sanguinosa lotta interna attraverso la quale si affermò la dittatura. E, una simile contraddizione, alimenta il sospetto che, malgrado la grande messe di dati, circostanze, documenti citati, il lavoro di Losurdo sia, in fondo, un progetto a tesi.
Paradossalmente (ma poi non troppo), questo esasperato oggettivismo finisce per combaciare con la posizione opposta, ma simmetrica, secondo cui il difetto sta nel manico: l'uovo del serpente sarebbe cioè solidamente insediato nell'idea comunista, sin dall'origine, sin dal suo archetipo teorico, fin nel marxismo, passando poi attraverso tutta la vulgata delle esperienze storiche che in ogni punto del globo, da oriente ad occidente, da nord a sud, si sono incarnate nei decenni, fondandosi su quell'ispirazione. Insomma, il giustificazionismo non fa che offrire alibi a tutte le rimozioni (che non hanno mai favorito alcun progresso, in nessun campo) e a tutti i processi di sommaria liquidazione. Perché quando rimuovi, non capisci. E se non capisci non ti confronti davvero. Ti contrapponi. Con tutta la cieca determinazione che si mette nel non riconoscere - nell'altrui punto di vista - la porzione di verità che esso può contenere.
E' il vizio di tutti i fondamentalismi, di tutti i settarismi, di cui si nutre chi crede di custodire nel proprio scrigno tutto ciò che occorre sapere. Attenti dunque all'autoritarismo, alla pianta che rigogliosamente cresce quando si pretende che vi siano argomenti da mettere al bando, parole da inibire, colonne d'Ercole da non varcare...
Quanto alla recensione di Guido Liguori, il cui profilo culturale è notoriamente estraneo a qualsiasi contaminazione o suggestione stalinista, trovo del tutto incomprensibile come si possa ricavare dal suo testo una qualsiasi propensione "negazionista". Ne fa fede lo stralcio del suo commento al libro di Losurdo che ripubblichiamo qui accanto. Ai firmatari delle lettera, invece, che tanto in là hanno voluto spingersi nella loro requisitoria, vorrei ricordare che è difficile che si possa - cito dalla loro lettera - «interrogarsi di continuo» e, contemporaneamente, «considerare chiuso il confronto». «Consciamente o inconsciamente», mi pare si propenda per la seconda ipotesi. C'è tuttavia un punto, questo sì davvero indigeribile, eppur rivelatore, della lettera. Laddove si dice «a quando una pagina intera di pubblicità gratuita (...) delle gesta di Ceaucescu e di Pol Pot». Mi spiace: non ci sto. Non è consentito.

giovedì 16 aprile 2009

ELEZIONI PROVINCIALI 2009


Seminario sulle funzioni della provincia
e il programma di Sinistra Critica

SABATO 18 APRILE ORE 15
presso la sede di Sinistra Critica via Santa Giulia 64

Partecipano le consigliere provinciali Gianna Tangolo e Gianna De Masi

Sono invitate/i tutte/i le/i candidate/i della lista di Sinistra Critica, gli iscritti e
tutti coloro che sono interessati a partecipare alla discussione e elaborazione dei contenuti del programma.

Sinistra Critica nelle elezioni provinciali
In questi tre mesi, a partire da gennaio Sinistra Critica ha lavorato per verificare la possibilità di costruire uno schieramento sociale e politico che contrastasse le forze della destra, ma che fosse anche completamente alternativo alle forze dell’attuale coalizione di centro sinistra al governo della provincia che si sono distinte per scelte economiche, sociali e infrastrutturali del tutto funzionali agli interessi dei potentati economici della nostra regione. Non a caso il suolo della provincia di Torino è stato consumato, anzi divorato assai più di molte altre province, (15% del territorio pedemontano e collinare asfaltato, piastrellato, costruito!) .
Abbiamo dunque cercato di costruire una coalizione di più forze sociali e politiche per proporre un modello alternativo per il nostro territorio e per coloro che vi abitano, che avesse al centro la partecipazione democratica e l’iniziativa delle lavoratrici e dei lavoratori, dei cittadini, dei migranti.
Un programma di difesa dei diritti del lavoro, dei diritti ambientali, dei diritti democratici e di partecipazione della società.
Abbiamo incontrato forze sociali e politiche. Tra queste ultime, fin da metà gennaio abbiamo espresso a Rifondazione la nostra disponibilità a discutere eventuali convergenze, chiedendo alla sua segreteria, come elementare condizione, scelte tempestive e chiare di distacco dalla coalizione di centro sinistra, per poter avere credibilità politica alternativa, e non scelte dell’ultimo momento motivate da contingenze tattiche e quindi assai poco credibili, come poi si è verificato.
La discussione con il Partito Umanista, con diverse forze sociali e di movimenti ambientaliste si è invece sviluppata per alcune settimane, risultando assai utile perché ha messo in luce forti convergenze sui contenuti e la comune volontà di lavorare su di essi al di là della contingenza elettorale.
Tuttavia, i tempi forse troppo stretti e varie difficoltà organizzative pratiche non hanno permesso di raggiungere, già in questa scadenza, l’obbiettivo massimo immediato che avremmo voluto ottenere: più liste in coalizione con candidate e candidati, espressione del mondo del lavoro, delle battaglie ambientaliste e democratiche.
Ma questo lavoro e discussione unitaria non sono stati infruttuosi perché hanno sedimentato una comune volontà di lavorare insieme.

Per queste ragioni Sinistra Critica presenta non solo una propria lista, ma anche un proprio candidato, un compagno che in tutti questi anni si è distinto per il suo impegno nei movimenti antiguerra, ambientalisti, dei diritti dei migranti e nelle recenti mobilitazioni per la difesa della scuola e dell’università, un giovane ricercatore precario, NGANDU MUKENDI (detto Gippò), con cui vogliamo rappresentare anche la società per cui ci battiamo, di libertà, di giustizia, di democrazia.

La nostra lista si caratterizza poi per una forte rappresentanza di quella che è la realtà della nostra provincia, candidature di giovani studentesse/i, di lavoratrici/tori precarie/i, di insegnanti universitari e delle scuole superiori, di ambientaliste/i, ma anche e soprattutto di operai e operaie delle grandi e delle piccole e di quelle nuove realtà di sfruttamento che sono i call center. Di essa fa parte anche un compagno del partito umanista che vi è entrato a titolo individuale, ma che esprime la volontà delle due organizzazioni di continuare una positiva collaborazione. Una bella lista davvero!

Una lista che rappresenta la nostra volontà di dare una risposta alternativa alle politiche liberiste e alla situazione sociale drammatica della nostra provincia in cui decine di migliaia di lavoratori sono in cassa integrazione e rischiano il posto di lavoro e per impedire che i costi della crisi siano fatti pagare ancora una volta alle classi popolari e con la distruzione del territorio e dell’ambiente.

A questa lista, ai contenuti che essa vuole difendere nella campagna elettorale, chiediamo da subito a tutte e tutti, un sostegno, a partire dalle firme necessarie per poterla presentare.

RICORDIAMO LE DUE IMPORTANTI SCADENZE PROSSIME DEL MOVIMENTO DEI LAVORATORI:

La fiaccolata del 25 aprile

La manifestazione del I maggio

Sinistra Critica sarà presente con il proprio striscione e le proprie bandiere. Nessuno deve mancare.

Sinistra Critica Torino

mercoledì 15 aprile 2009

raccogliamo le firme per l'elezioni provinciali.


Un grazie

ancora a tutte le lavoratrici e ai lavoratori della Fiat Mirafiori che hanno firmato e sostenuto la proposta di legge popolare sulla salario, la prima legge della sinistra in Parlamento.

La Legge per il Salario minimo netto a 1300 euro, il Salario sociale per disoccupati e i Minimi previdenziali a 1000 euro (questo limite minimo dei 1000 euro deve valere anche per coloro che si trovano in cassa integrazione o in Mobilità), il recupero del Fiscal drag e la reintroduzione della Scala mobile, finanziata abolendo i vergognosi privilegi fiscali per imprese e banche e tassando le rendite finanziarie. è stata già assegnata alla Commissione Lavoro del Senato, che nel mese di maggio ascolterà i promotori della iniziativa.


UNITA’ DI TUTTI I LAVORATORI PER NON PAGARE LA CRISI
...............................................................................................................
Per poter reggere l’attacco padronale serve una vertenza generale che unisca tutte le lotte sparse sul territorio e un programma d'urgenza per difendere le condizioni di lavoro e di reddito della classe lavoratrice
La situazione occupazionale nella nostra provincia è disastrosa e occorre un forte programma economico e sociale per garantire le condizioni di vita e di lavoro della classe lavoratrice.

Dopo aver raccolto le firme sul salario, Sinistra Critica vuole poter difendere questi obbiettivi anche nelle elezioni provinciali.

Ti chiediamo una firma per poter presentare la nostra lista

che è composta all’80% di lavoratori e lavoratrici delle
fabbriche, grandi e piccole della provincia di Torino

raccogliamo le firme al cambio turno:
mercoledì 15 aprile Porta 3
giovedì 16 aprile Porta 2
venerdì 17 aprile Porta 20

lunedì 13 aprile 2009

A FOSSA NASCE "EPICENTRO SOLIDALE"


A FOSSA NASCE "EPICENTRO SOLIDALE"
Al Campo di Fossa, che Sinistra Critica ha deciso di sostenere già dai giorni scorsi, è nata una prima struttura di coordinamento-movimento: si chiama "Epicentro Solidale" e ha tenuto la sua prima assemblea questo pomeriggio. Ad animarla sono i vari componenti di Spazio Libero 51 dell'Aquila, il centro sociale cui fa riferimento anche Sinistra Critica. L'obiettivo è quello di creare un centro logistico e informativo supportato da centri e movimenti di Roma e che possa intervenire nell'intera zona terremotata. Al momento le consegne che abbiamo ricevuto sono di non inviare persone, perché i volontari sono sufficienti mentre ci sarà bisogno soprattutto tra qualche settimana; di non inviare per il momento altri beni ma di raccoglierli e di collegarsi a Epicentro Solidale per una distribuzione coordinata.
Sinistra Critica di Roma e Napoli (per il momento) prosegue dunque la raccolta di viveri e generi di vario tipo (punto di riferimento centrale la sede di San Lorenzo in via dei Latini 73) mentre stiamo stilando la lista dei volontari disponibili nelle prossime settimane e mesi.
Per informazioni tel 3355341571
sinistracritica.stampa@gmail.com

• MATERIALE NECESSARIO •

coperte/sacchi a pelo (imbustati)
materassini da campeggio
lampade a gas + ricariche
vestiario pesante (imbustato)
pannoloni per adulti
pannolini per bambini
assorbenti
salviette umidificate
guanti di lattice monouso
disinfettanti
spazzolini da denti e dentifrici

pasta
olio
latte uht
zucchero
formaggi e salumi
scatolame (pelati, legumi, tonno, affini)
omogeneizzati

giocattoli
quaderni e colori

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SOLIDARIETA' ATTIVA, L'IMPEGNO DI SINISTRA CRITICA


Sinistra Critica avvia una raccolta di beni di prima necessità da destinare al Campo di Fossa dove operano come volontari i nostri militanti. Si tratta quindi di un intervento mirato, legato a un progetto specifico e in collegamento con l'organizzazione complessiva dei soccorsi. Da evitare, in questa fase, infatti, è la duplicazione degli interventi o la messa in atto di interventi di facciata.
Apriremo quindi le sedi per raccogliere i beni che ci sono stati richiesti.
Da oggi, mercoledì 8 aprile, è aperta la sede di San Lorenzo a Roma - via dei Latini 73, dalle 16 alle 21 - come punto di raccolta centrale. Man mano che saranno disponibili altre strutture lo comunicheremo.
Obiettivo immediato: una spedizione da fare entro Pasqua da utilizzare anche per organizzare le settimane che verranno. Dopo l'emergenza, infatti, ci sarà una situazione eccezionale che durerà nel tempo e quindi si tratta di organizzare aiuti e sostegni anche nelle settimane che verranno. Per questo, stiamo stilando la lista delle disponibilità di volontariato - almeno una settimana - da offrire alla Protezione civile.
Al di là delle emergenze, però, Sinistra critica vuole organizzare un progetto di solidarietà mirato e riconoscibile - che costruiremo con compagni e compagne abruzzesi - che contribuisca a una ricostruzione sociale e che metta al centro dell'attenzione il tema dell'assetto e della salvaguardia del territorio come strumento di prevenzione di sciagure che restano ancora, in larga parte, frutto di scelte economiche e politiche.

SINISTRA CRITICA NON SI CANDIDERA' ALLE EUROPEE. PRESENTI INVECE ALLE AMMINISTRATIVE


Documento del Coordinamento nazionale

Sinistra Critica non farà parte della lista promossa da Prc e Pdci e che ha trovato il supporto di Socialismo 2000 e dei Consumatori Uniti.
Avevamo proposto una lista anticapitalista che presentasse alcuni elementi di discontinuità con il recente passato, fatto di errori e sconfitte, della sinistra radicale. Una lista che avesse una simbologia rinnovata, seppur riconoscibile, con candidature espressione del conflitto sociale e dei movimenti, con un codice etico per i candidati e le candidate, con una visibile alternatività al Pd e al centrosinistra italiano a partire dalla rimessa in discussione, anche parziale, della politica di alleanze locali. Un profilo complessivo, dunque, di rottura con il passato, non certamente l'adesione al nostro progetto ma una richiesta di discontinuità basata sulla presa d'atto che se la sinistra in Italia è arrivata a un punto disastroso questo non dipende dal fato o dalla forza di Berlusconi ma dai suoi errori, dalle sue disinvolture, dagli opportunismi e dalle sue analisi errate. Il nostro tentativo di dialogo con forze, come Prc e Pdci, che sono le principali responsabili della disfatta, sono stati difficili ma sinceri e abbiamo provato sul serio a verificare un'inversione di tendenza in grado di prefigurare una ripartenza, un nuovo inizio della sinistra. Quelle forze, però, non hanno voluto fare lo sforzo di un cambio di passo, preferendo la continuità, anche simbolica, e l'alleanza con forze ancora più moderate.
La lista presentata si colloca così in piena continuità con la storia governista di Pdci e Prc, prefigurandone una fusione tutta simbolica, in assenza di una vera strategia per la costruzione di una nuova sinistra anticapitalista che faccia i conti con il passato e con il futuro. Così non è del tutto casuale o episodico che la lista abbia come testimonial gli ex ministri dei governi Prodi e D'Alema. Nessuno può sottovalutare, infatti, il significato di un accordo elettorale che si priva di Franco Turigliatto, che con il governo Prodi ha rotto, e imbarca Cesare Salvi o l'ex "bordoniano" Bruno De Vita.
A noi sembra che non sia questa la strada per ricostruire e rinnovare la sinistra di classe in Italia. Non è questa la strada che Sinistra Critica ritiene utile per rilanciare, al tempo della crisi globale del capitalismo, una sinistra coerentemente anticapitalista, radicata nel conflitto sociale e nei movimenti, indisponibile ai governi con il Pd e il centrosinistra, aperta alle istanze e ai desideri delle nuove generazioni. Non è questa la strada per ricostruire una nuova sinistra di cui c'è un disperato bisogno in questo paese.
Ora si andrà alle europee e per Sinistra Critica si è posta la questione se presentare o meno una propria lista. Abbiamo deciso di non farlo, di non raccogliere le firme - nonostante il successo nella Legge sul Salario minimo che ne ha raccolto 70mila - né di ricercare improbabili adesioni di parlamentari europei. Non perché Sinistra Critica non abbia un progetto da rendere pubblico e da far vivere nella competizione elettorale. Anzi, queste elezioni costituiscono l'occasione di far vivere in Europa la Sinistra Anticapitalista che trova nel Npa francese, nella sua dinamicità e capacità di scompaginare vecchi schieramenti, un esempio efficace di rinnovamento.
Ma in questa situazione, di grande confusione e dispersione di forze, pensiamo non serva un'operazione di propaganda finalizzata alla sola visibilità.
Più utile, invece, lavorare nel medio periodo alla prospettiva che le mobilitazioni di Londra contro il G20 o le mobilitazioni in Francia contro i manager rendono attuale, di una Nuova Sinistra Anticapitalista. Una sinistra davvero nuova, senza riflessi identitari o sterili nostalgie, radicata nel conflitto, alternativa, davvero, al Pd e al centrosinistra oltre che alle destre, in grado di parlare alle nuove generazioni. Tutto questo manca alla sinistra cosiddetta radicale, in particolare ai suoi gruppi dirigenti mossi dal principio dell'autoconservazione.
Non ci presentiamo alle elezioni europee, dunque, ma faremo la “nostra” Campagna centrata sulla Legge per il Salario minimo intercategoriale che è depositata al Senato e che chiediamo venga discussa dal Parlamento con l'obiettivo di dare un aumento di 300 euro a tutti, di istituire il Salario sociale e i minimi previdenziali a 1000 euro, il recupero del fiscal drag e la scala mobile.
Saremo invece presenti alle amministrative dove molti elettori ed elettrici troveranno il nostro simbolo o i simboli di coalizioni ampie e di movimento, come ad esempio a Bologna, chiaramente alternative al Pd, al primo e al secondo turno.
Ma la politica non gira solo attorno alle elezioni e di istituzionalismo qualcuno è già morto. Per questo lavoreremo sul piano del conflitto per costruire Comitati contro la Crisi, sempre più urgenti e necessari, in grado di respingere l'assalto berlusconiano e di Confindustria e di restituire, a partire dalle lotte, la necessaria fiducia a lavoratori e lavoratrici, ai giovani, ai movimenti per i diritti civili e ambientali, al movimento antiguerra, per una nuova stagione di unità e radicalità.

Sinistra Critica - Movimento per la Sinistra Anticapitalista

giovedì 2 aprile 2009

A LONDRA UN'ALTRA GENOVA


di Paolo Gerbaudo
(da www.ilmanifesto.it [2])

A darne la notizia, dopo ore di scontri, è stata la stessa polizia. Uno dei manifestanti è morto. Si parla di crisi cardiaca ma a crederci sono in pochi tanto incombe su tutti il fantasma di Genova. La tragedia - sempre in base alle stesse fonti - sarebbe accaduta nei pressi della Banca d'Inghilterra.
E' sera inoltrata quando arrivano le prime voci ma la giornata è cominciata assai prima e con tanto di avvisaglie.
Un calcio, poi un altro. La parete del cantiere in cui una ventina di persone si sono rifugiate per sfuggire alle cariche della polizia cigola sotto la furia di un reparto antisommosa. "Arrivano, arrivano!" grida qualcuno. Tutti di corsa all’impazzata sul terreno sconnesso. La polizia alle spalle. La paura delle manganellate. Un altro parapetto da scalare aiutandosi l’un l’altro in fretta e furia prima che arrivano gli agenti. Poi via di corsa tra macerie e macchine
da costruzione. Le guardie di sicurezza che controllano il cantiere che gridano minacciose e fanno segnali agli agenti. Un’altra parete di legno da scalare dall’altro lato del cantiere. Un salto alla cieca prima di atterare sull’asfalto. Un sospiro di sollievo e poi via di corsa.
Una protesta di massa ha mandato ieri in tilt la City di Londra, con una folla colorata e determinata che ha urlato forte che è ora di cambiare rotta, e che il neoliberalismo deve rimanere nella tomba. La manifestazione è stata segnata da scontri, dopo che la polizia ha risposto con mano pesante all’affluire di migliaia di persone infuriate per la crisi economica e l’ipocrisia dell’elite politica e finanziaria. Spintoni e cariche sono cominciate dopo che la polizia ha imprigionato per oltre quattro ore la gente nell’area portandola all’esasperazione.
Alla pressione della folla che voleva uscire dai cordoni degli agenti, le forze dell’ordine hanno risposto con manganelli, spray urticante, e polizia a cavallo. Una trentina di persone sono state arrestate nella zona attorno alla Banca d’Inghilterra e le cariche della polizia hanno lasciato sul terreno decine di feriti - di cui alcuni gravi.
Quando attorno a mezzogiorno oltre ottomila persone convergono a pochi minuti di stanza nella piazza di fronte alla sede della banca nazionale è subito chiaro che questa non è una piccolo azione simbolica dei no-global, ma una vera e propria manifestazione di massa a cui si sono unite centinaia di persone alla loro prima esperienza di piazza, cosa inusitata per queste latitudini.
La polizia ha cercato di spegnere la manifestazione sul nascere cordonando i manifestanti attorno alle stazioni di Liverpool Street, Cannon Street, Moorgate e London Bridge punto di ritrovo dei quattro cortei della coalizione G20 Meltdown, guidate da pupazzi che simboleggiavano i cavalieri dell’Apocalisse. Ma sospinte da rivoli di persone giunte in rinforzo nell’area della protesta, le forze dell’ordine sono state presto costrette a fare procedere i cortei fino
alla loro destinazione.
Tra la gente radunata di fronte alla banca d’Inghilterra una folla variegate, composta da ecologisti, attivisti contro la guerra, anarchici ma anche tanta gente comune alla prima esperienza di piazza.
Tra questi Mick, un pony express, che lavora per diversi uffici nella City. "Sono venuto qui a vedere quello che la gente ha da dire. Anche noi siamo preoccupati perché il lavoro comincia a scarseggiare per noi a causa del collasso del settore finanziario". Brian, 55 anni, lavora come rappresentante di una ditta di cartoleria ed ha deciso anche lui all’ultimo minuto di unirsi alla protesta "perché è uno scandalo che gente che ha lavorato tutta la vita abbia perso la propria pensione per colpa delle banche".
Per un po' nel centro della City si respira un’atmosfera da festa in piazza, bande che suonano musica balcanica, piccoli sound system che fanno ballare gruppetti di manifestanti. Coppie di attivisti con il bebe nel passeggino che camminano a lato di militanti in completo nero con le bandiere rossonere. Un battello pirata invita banchieri e poliziotti a convertirsi al movimento. I cartelli recitano "è venuto il momento di riprenderci quello che ci hanno tolto" e "Disgustosa Signora Thatcher guarda a che cosa ci hai portato".
Ma dopo un paio di ore il clima cambia. La polizia comincia a farsi più aggressiva. In molti vogliono muoversi altrove per continuare la protesta o per tornare a casa. "La polizia mi sta impedendo il mio diritto al movimento - urla Tom un pensionato di 62 anni, che non partecipava a una protesta da 20 anni – queste sono le prove generali dello stato di polizia".
Verso le due e mezza la parte più radicale del corteo decide di reagire. Duemila persone si fanno strada su Threadneedle Street e spintone dopo spintone respingono gli agenti. Una sede della Royal Bank of Scotland, infangata dallo scandalo della crisi dei mutui e dal fondo pensione da decine di milioni di sterline, messa in tasca dall’ex manager Fred Goodwin viene presa d’assalto.
Venti manifestanti riescono a fare irruzione nell’edificio e per un quarto d’ora mettono a soqquadro gli uffici, distruggendo computer e mobili e tirando giù una vetrina. Uno dei ragazzi monta una tenda dentro l’edificio per inscenare un’occupazione. Fuori la folla urla eccitata e alcuni ragazzi si arrampicano sulle facciate degli edifici circostanti per assistere alla scena. La polizia risponde irrompendo nella banca, e arrestando alcuni occupanti. Poi dietro le fila della polizia fanno la comparsa una ventina di poliziotti a cavallo. Ma la folla non si fa intimidire e grida in coro – Di chi sono le strade? Le strade sono nostre.
Molto piu’ tranquille le altre due grandi proteste che si sono svolte in parallello a G20 Meltdown. Quasi duemila attivisti del Climate Camp sono riusciti ad occupare attorno a mezzogiorno Bishopsgate la grande strada antistante il Climate Exchange Market la borsa delle emissioni dei gas serra. Sotto tono la protesta di Stop the War di fronte al parlamento a cui hanno partecipato poco piu’ di un migliaio di persone.
Dopo la grande partecipazione registrata nella protesta di oggi e la mano dura usata dalle forze dell’ordine c'è da aspettarsi scintille nelle proteste di domani dirette contro l’ExCel Centre nei Docklands dove si riunira’ il G20. Sono previste tre marce che si dirigeranno sin dalla mattinata verso il centro conferenze per mettere sotto scacco i leader dei venti paesi piu’ ricchi al mondo. "Sono dieci anni che non vedo una manifestazione come questa a Londra – afferma Karen un’attivista londinese, dopo la lunga giornata di ieri – mi sa che domani ne vedremo delle belle".