lunedì 28 febbraio 2011

L'impossibile capitalismo verde


Il riscaldamento climatico e le ragioni dell'eco-socialismo

Senza mai cedere al catastrofismo, il libro argomenta la drammaticità delle conseguenze dello sconvolgimento climatico, per nulla affrontate dai vertici internazionali, che privilegiano i profitti immediati dei gruppi industriali al futuro stesso dell’umanità.
Di fronte a tale situazione l’autore cerca di rispondere al “rompicapo del secolo”, ovvero come stabilizzare il clima soddisfacendo al contempo il legittimo diritto allo sviluppo di 1,3 miliardi di persone che soffrono la fame e non hanno accesso ad acqua ed energia elettrica. E lo fa con rigore scientifico e sintetizzando gran parte
del dibattito dei movimenti ecologisti, dimostrando l’impossibilità di un capitalismo verde, e criticando sia le teorie della decrescita che alcune ambiguità produttiviste del marxismo.

AUTORE:
Daniel Tanuro è uno studioso ecologista belga, tra i membri di “Climate Change”, molto attivo nelle mobilitazioni internazionali contro il riscaldamento climatico. I suoi articoli sono tradotti in tutto il mondo. Questo è il suo primo libro in Italia.

Prefazione di Marco Bersani, laureato in Filosofia, è Dirigente comunale dei servizi sociali. Socio fondatore di Attac Italia, è membro del Consiglio nazionale dell'associazione. E' fra i promotori del Forum italiano dei Movimenti per l'acqua e tra i principalo protagonisti della battaglia referendaria per la ripubblicizzazione dell'acqua. Con Alegre ha PUBBLICATO nel 2007 Acqua in movimento e nel 2009 Nucleare se lo conosci lo eviti.

domenica 27 febbraio 2011

E' l'ora di una manifestazione nazionale


Dopo la proposta degli universitari di Atenei in Rivolta per una manifestazione nazionale contro il governo e la Confindustria anche l'assemblea sindacale autoconvata, riunitasi il 26 febbraio a Roma, rilancia la mobilitazione


Si è svolta oggi a Roma, nella sala del teatro Colosseo, la prevista assemblea autoconvocata per uno sciopero generale e generalizzato frutto di un appello che ha raccolto un migliaio di adesioni di lavoratrici, lavoratori, delegati iscritti o non iscritti alla Cgil o ai sindacati di base. All’assemblea hanno preso parte oltre trecento delegati e lavoratori che hanno voluto in tal modo sollecitare la massima unità e la massima incisività nella lotta contro il modello Marchionne che, dopo Mirafiori e Pomigliano, sta estendendosi anche oltre la stessa Fiat. Quel modello, con il pretesto della crisi e della concorrenza globale, punta allo smantellamento dei diritti e delle tutele sindacali e vuole riportare la condizione delle lavoratrici e dei lavoratori indietro di un secolo. L’assemblea, inoltre, invita tutti i movimenti sindacali, sociali, ambientali che si oppongono all’offensiva padronale e governativa a individuare un percorso comune che costruisca tempestivamente, al di là delle ambiguità, delle timidezze e dei continui rinvii della Cgil, una giornata di lotta e di mobilitazione nazionale e una grande manifestazione a Roma.


Il documento conclusivo

Nel 3° incontro Nazionale, riuniti a Roma nel nuovo teatro Colosseo, abbiamo assistito ad un evidente salto di qualità e di partecipazione, rilanciando la necessità di un rinnovato e radicale protagonismo di classe, emerso negli oltre 30 interventi di lavoratori e lavoratrici.
All’assemblea hanno preso parte più di trecento delegati e lavoratori che hanno voluto in tal modo sollecitare la massima unità e la massima incisività nella lotta contro il modello Marchionne che, dopo Mirafiori e Pomigliano, sta estendendosi oltre la stessa Fiat. Quel modello, con il pretesto della crisi e della concorrenza globale, punta allo smantellamento dei diritti e delle tutele sindacali e vuole riportare la condizione delle lavoratrici e dei lavoratori indietro di un secolo.
La denuncia del piano Marchionne come unico modello di gestione della crisi, ha visto la necessità del rilancio della piattaforma di lotta sulla quale chiedere una mobilitazione vasta e unitaria contro queste politiche antipopolari:
Blocco dei licenziamenti, delle chiusure, delle fabbriche, delle esternalizzazioni, dei tagli all’istruzione, alla ricerca e alla spesa sociale;
lotta all’aumento dei ritmi e alla produttività;
contro le speculazioni edilizie e finanziarie, principali cause di chiusure e delocalizzazioni;
per la distribuzione del lavoro che c’è “lavorare meno lavorare tutti” a parità di salario e per l’accesso e la continuità del reddito;
per la stabilizzazione di tutti i precari|e e gli atipici, cancellazione delle leggi sulla precarietà
per dire No all’eliminazione del CCNL e alla ristrutturazione dei diritti di tutto il mondo del lavoro;
Per una effettiva reale e diretta rappresentanza sindacale dei lavoratori in ogni luogo di lavoro, tutti eleggibili tutti elettori;
Contro la Bossi-Fini, per l’estensione dei diritti ai lavoratori migranti
Ritiro del collegato al lavoro e della Riforma Gelmini.
Contro lo statuto dei lavori, per la difesa dello statuto dei Lavoratori
L’assemblea, inoltre, invita tutti i movimenti sindacali, sociali, ambientali che si oppongono all’offensiva padronale e governativa a individuare un percorso comune che costruisca tempestivamente, al di là delle ambiguità, delle timidezze e dei continui rinvii della Cgil, una giornata di lotta e di mobilitazione nazionale e una grande manifestazione a Roma.
Per questo proponiamo a tutti i soggetti interessati, un percorso dal basso e partecipato finalizzato alla costruzione di una assemblea nazionale che lanci la mobilitazione.
Infine, ribadiamo la necessità di costruire coordinamenti locali e\o rafforzare e sviluppare quelli già esistenti, per costruire un coordinamento nazionale effettivamente rappresentativo di tutti i territori e che possa sviluppare il conflitto di classe in tutto il paese per contribuire alla costruzione di un vero sciopero generale e generalizzato unitario e dal basso.
Assemblea dei coordinamenti e dei comitati dei lavoratori e lavoratrici autoconvocati contro la crisi.

giovedì 24 febbraio 2011

La Cgil "decide" lo sciopero generale


Ma il direttivo non fissa la data e dà mandato alla segreteria nazionale di stabilire le modalità della mobilitazione. La maggioranza per la prima volta si spacca, la minoranza si astiene. Landini:"La decisione della Cgil è un fatto importante"


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"Il Comitato direttivo della Cgil decide l'indizione dello scioper generale e dà mandato alla segreteria di deciderne le modalità di proclamazione nei tempi utili per garantirne l'efficacia". E' il dispositivo approvato dal comitato direttivo della Cgil che si è concluso mercoledì 23 febbraio. E in quel "decide" sta il passaggio nuovo perché formalmente il direttivo del maggiore sindacato italiano indice uno sciopero generale anche se dà il mandato alla segreteria. "Un modo per non prendere posizione con nettezza - spiega Fabrizio Burattini del direttivo Cgil - ma anche per portare la decisione di oggi su ipotesi pasticciate come ad esempio uno sciopero di sole 4 ore o cose del genere". La minoranza della Cgil si è astenuta sul voto conclusivo dopo che è stata bocciata la proposta di Giorgio Cremaschi di fissare la data entro il mese di aprile. Un'astensione, ha detto Gianni Rinaldini, portavoce di "Cgil che vogliamo" che diventa un voto favorevole in caso di proclamazione dello sciopero o un voto contrario se si deciderà di ritirarlo.
In ogni caso, il dibattito del Direttivo si è svolto con forti frizioni nella maggioranza dove importanti segretari generali hanno spinto per la convocazione dello sciopero generale - lo Spi, la Flc, l'Emilia Romagna, i Chimici - e altri, come la Camera del Lavoro di Milano, hanno frenato altrettanto fortemente. Una divaricazione della maggioranza che sconta quelli che Maurizio Landini, segretario della Fiom, definisce "I fatti nuovi degli ultimi mesi": il protagonismo della Fiom, la distanza dalla Cisl, l'ostilità costante del governo e la mancata sponda di Confindustria. Fatti nuovi che, dice ancora Landini, aprono "una fase nuova" per cui la decisione del Direttivo nazionale è definita dal segretario della Fiom "un fatto importante".
Tra i fatti nuovi che modificano lo scenario potrebbe esserci il contratto del Commercio. La Filcams non condivide le proposte di Confcommercio che però ha già avviato la fase finale della trattativa con Cisl e Uil. E per la Cgil potrebbe trattarsi di un nuovo accordo separato

Un primo marzo di tutti


Appello del movimento "Primo Marzo insieme contro il razzismo". Una nuova grande giornata di sciopero e mobilitazione per i migranti e con i migranti. Con gli occhi rivolti all'altra sponda del Mediterraneo


Lo scorso Primo Marzo oltre 300 mila persone si sono mobilitate in tutta Italia per dire no al razzismo, alla legge Bossi-Fini, al pacchetto sicurezza, ai CIE e sì a una società multiculturale e più giusta. In molte città lavoratori italiani e migranti hanno scelto di scioperare insieme, uniti dalla consapevolezza che il razzismo istituzionalizzato (in spregio alla nostra Costituzione oltre che al diritto internazionale e alla normativa europea), le politiche di esclusione, lo sfruttamento del lavoro, le violazioni dei diritti sono tasselli di un’unica strategia repressiva che, a partire dai più deboli e inermi, aspira a colpire tutti e a imporre la precarietà come orizzonte di vita.

Migranti e italiani hanno affermato in questo modo un’idea di sciopero diversa da quella dominante (non uno strumento di protesta nelle mani dei sindacati ma un diritto costituzionale, individuale e inalienabile), hanno dimostrato che è possibile unirsi e prendere l'iniziativa dal basso per reagire ai ricatti. Hanno superato nei fatti la contrapposizione tra autoctoni e stranieri e inaugurato una stagione di impegno e di lotta, di rifiuto dei ricatti e dello sfruttamento, passata dallo sciopero delle rotonde in Campania alle occupazioni della gru e della torre a Brescia e Milano, da Pomigliano a Mirafiori, dalle mobilitazioni degli studenti allo sciopero dei metalmeccanici e marcata da manifestazioni antirazziste a Bologna, Firenze, Trieste e in tante altre città italiane.

La situazione italiana di oggi è diversa da quella di un anno fa e forse ancora più grave. Non c’è stata un’altra Rosarno, ma gli effetti della crisi si sentono sempre di più e colpiscono soprattutto i migranti: in migliaia rischiano di perdere il permesso di soggiorno, in migliaia che il permesso non lo hanno vengono indicati come criminali e condannati al lavoro nero gestito dai caporali. Per tutte e tutti vige il ricatto quotidiano del razzismo istituzionale.

In questo quadro la Bossi-Fini (in particolare la sua pretesa di legare il permesso di soggiorno al contratto di lavoro con il “contratto di soggiorno”) si rivela più che mai come una legge inadeguata e ipocrita, che non combatte la clandestinità ma la crea, favorendo sfruttamento e lavoro nero e ponendo i migranti in una condizione di costante ricattabilità. Per oltre 50mila immigrati, vittime della sanatoria truffa, non è stata trovata ancora una soluzione. Nel frattempo il governo è tornato a lanciare la lotteria del decreto flussi che – come tutti sanno – funziona principalmente da sanatoria mascherata. La questione della cittadinanza rimane insoluta e centinaia di giovani nati o cresciuti in Italia continuano a sottostare a una legge che non riconosce loro diritti né cittadinanza.

Le rivoluzioni di piazza che stanno attraversando il Nord Africa segnalano un’aspirazione alla libertà che ha nelle migrazioni una delle sue declinazioni e che sta portando a un prevedibile aumento degli sbarchi (per altro mai interrotti) sulle nostre coste: di fronte a tutto questo la risposta italiana si sta rivelando ipocrita e inadeguata: si evoca ancora una volta un inesistente “stato di emergenza” solo per non rispettare il diritto di asilo ed evitare accogliere le persone che stanno arrivando sulle nostre coste. Ciò ci dice che mentre molti festeggiano senza problemi l’ondata di democrazia nel Nord Africa, le migrazioni uniscono le due sponde del Mediterraneo: nello spirito della Carta dei Migranti recentemente approvata a Gorée (Senegal), noi sappiamo che il problema della democrazia italiana sta anche a Tunisi, così come quello della Tunisia è anche a Roma o a Parigi. Mentre si lotta per la democrazia in Nord Africa, non possiamo accettare la logica razzista dell’”aiutiamoli a casa loro”, perché i migranti ci dicono che si lotta anche per muoversi e cambiare le proprie condizioni di vita. È quello che insieme vogliamo fare il 1 marzo.

In questo quadro i migranti sono ancora di più una forza. Per ragioni economiche, come molte volte è stato sottolineato: producono infatti una parte consistente del PIL (11%), alimentano le casse dello Stato con le tasse e i contributi previdenziali, sopperiscono con il lavoro di cura alle carenze strutturali del welfare italiano. Ma anche per ragioni sociali e culturali: rappresentano infatti una parte attiva e determinante nella costruzione di società diversa: più ricca, variegata, multiculturale e capace di guardare al futuro. Senza di loro, senza i bambini figli di migranti e coppie miste, l’Italia sarebbe oggi una nazione destinata ad estinguersi. Soprattutto, i migranti sono una forza politica per costruire una società diversa, per non limitarsi a difendere i diritti ma reagire ai ricatti conquistandone di nuovi.

Per questo lanciamo un appello per costruire il prossimo primo marzo una nuova grande giornata di sciopero e mobilitazione per i migranti e con i migranti. Ma, lo sottoliniamo con forza, non si tratta di uno sciopero etnico: non è mai esistita e non esiste l’idea di uno sciopero etnico. In diversi territori sono già attivi percorsi che comprendono scioperi, presidi e manifestazioni. Crediamo che lo strumento dello sciopero sia il modo più forte per portare avanti questa lotta, migranti e italiani insieme contro i ricatti, contro il razzismo, contro lo sfruttamento e per chiedere:

-l’abrogazione della Bossi-Fini e, in particolare, del nesso tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno (“contratto di soggiorno”);
-Per contrastare il lavoro nero e lo sfruttamento dei lavoratori migranti: rivendichiamo l’applicazione e l’estensione dell’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione come tutela per tutti i lavoratori che denunceranno di essere stati costretti all’irregolarità del lavoro
-l’abrogazione del reato di clandestinità e del pacchetto sicurezza che già oggi rappresentano provvedimenti fuori legge perché in netta contrapposizione con la direttiva europea sui rimpatri;
-l'abolizione del permesso di soggiorno a punti e l’attivazione di misure, anche di tipo economico, atte a garantire il diritto ad apprendere l’italiano e a studiare;
-la chiusura dei CIE;
-una regolarizzazione che sia una soluzione reale e rispettosa dei diritti umani e della dignità delle persone per le vittime della sanatoria truffa;
-il passaggio dal concetto di ius sanguinis a quello di ius soli come cardine per il riconoscimento della cittadinanza e una legge che garantisca l’esercizio della piena cittadinanza a chi nasce e cresce in Italia,
-il riconoscimento del diritto di scegliere dove vivere e stabilire la propria residenza, diritto quanto mai fondamentale in un’epoca come quella che stiamo attraversando in cui tutti siamo potenziali migranti;
-una legge organica e adeguata per la tutela dei rifugiati e dei richiedenti asilo;

Chiediamo a tutti di essere protagonisti e di sostenere le mobilitazioni dei migranti il prossimo primo marzo. Ai sindacati non chiediamo un’adesione formale, ma di attivarsi a tutti i livelli per sostenere concretamente i lavoratori, migranti e italiani insieme, che decideranno di astenersi dal lavoro nelle fabbriche, nelle cooperative e in tutti i luoghi di lavoro più o meno formali. A tutti questi è indirizzata questa giornata, per rendere effettivo il diritto di sciopero, per i diritti di tutte e tutti, per costruire insieme una società diversa e multiculturale rifiutando ogni complicità con provvedimenti normativi che legalizzano sfruttamento, razzismo, pregiudizio e paura.
Il 1 marzo dovrà vedere una mobilitazione quanto più possibile diffusa, per permettere la massima partecipazione, sia in caso di scioperi, sia in caso di presidi o manifestazioni.

mercoledì 23 febbraio 2011

Gheddafi assassino, solidarietà con il popolo libico E cacciamo anche i complici del colonnello


La rivolta del popolo libico conferma l'ondata di sollevazioni cui abbiamo assistito nel nord Africa. Una mobilitazione spontanea, stanca di regimi infami e sanguinosi, pressata dalla crisi economica e dalle politiche liberiste imposte con la complicità dei governi occidentali. La complicità italiana, in particolare, è del tutto evidente nel caso della Libia il cui governo è stato finora spalleggiato e coccolato dai governi di Roma, di centrosinistra e di centrodestra - soprattutto per fare il "lavoro sporco" del controllo e della repressione dei migranti africani - fino ad arrivare al parossismo del governo Berlusconi che con Gheddafi ha intrattenuto rapporti personali e reverenziali francamente vergognosi.
La solidarietà al popolo libico, come ieri quella ai popoli tunisino, algerino, egiziano e poi a quello dello Yemen, del Bahrein o del Marocco da parte di Sinistra Critica è netta. Per questo abbiamo già aderito e partecipato alle varie manifestazioni indette dalla comunità libica in Italia come a Milano e Roma, e continueremo a farlo nei prossimi giorni.

L'assassino Gheddafi - che con i bombardamenti sui civili in piazza dimostra fino a che punto un potere in sfacelo può aggrapparsi alla violenza più cieca per difendere sé stesso - se ne deve andare e con lui tutta la cricca di potere che lo circonda a partire dalla sua famiglia. Per gli assassini compiuti in queste ore il dittatore libico deve essere processato e condannato. Una nuova era deve aprirsi per la Libia e il nord Africa, una fase fondata sulla partecipazione popolare e sulla democrazia diretta come in parte sta avvenendo in Tunisia con la formazione dei comitati in difesa della rivoluzione.

Ma insieme a Gheddafi se ne devono andare anche i suoi complici, obiettivamente complici in queste ore delle morti e degli assassini. Berlusconi deve andarsene, il suo appoggio al colonnello libico qualifica chiaramente la natura del suo governo. Serve una grande manifestazione popolare che richiami l'esempio offerto dai popoli dell'altra sponda del Mediterraneo, che rigetti le politiche della crisi e i tagli sociali e chieda con forza le dimissioni di Berlusconi e del suo governo.

L'assemblea dei movimenti sociali del Fsm di Dakar ha intanto deciso una giornata internazionale di sostegno alla rivolta araba e contro le guerre per domenica 20 marzo. Proponiamo a tutte le forze interessate a costruire un'iniziativa nazionale di trovarsi per discutere insieme un'iniziativa aperta e inclusiva.

Sinistra Critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista

martedì 22 febbraio 2011

L'inverno è agli sgoccioli, arriva la primavera


Dopo il 14 dicembre, gli operai di Mirafiori e le donne del 13 febbraio. E se ci fosse una manifestazione in cui tutte queste istanze, unite anche ai migranti e ai movimenti per la difesa dei territori, chiedessero in maniera decisa e determinata le dimissioni di questo governo?


AteneinRivolta.org
Le piazze del 13 Febbraio quasi casualmente ricadevano a due mesi da quel 14 Dicembre in cui il movimento studentesco irrompeva prepotentemente nella scena politica italiana. Tra queste due date l’Italia ha vissuto la battaglia di resistenza degli operai di Mirafiori e uno sciopero generale della FIOM.

In questo stesso periodo sono esplose le rivolte vittoriose in Tunisia ed Egitto, che si stanno estendendo ad altri Paesi del mondo arabo come Algeria, Libia, Bahrein e Yemen. Sembrerebbe che nel Mediterraneo soffi un vento di rivolta …

Ma la nostra sponda del Mediterraneo non ci parla di rivolte, nel nostro Paese non si è verificato quel processo di reazione a catena che ha coinvolto il mondo arabo, addirittura travalicando i confini degli stati nazionali. Eppure le manifestazioni di insofferenza e rabbia sociale sono presenti ovunque tant’è che, come ci ha dimostrato il 13 Febbraio, è bastato un appello (certamente insufficiente e in parte sbagliato) della direttrice dell’Unità per riempire le piazze di tutta Italia e ridare protagonismo alle donne. Così come il 14 Dicembre era “bastata” la speranza di veder cadere il governo Berlusconi per fare una manifestazione oceanica ed estremamente radicale. Come del resto gli operai di Mirafiori non si sono di certo fatti piegare dalla propaganda di Marchionne e di tutto il teatrino mediatico, nel momento in cui hanno scelto coraggiosamente di votare No al referendum-ricatto imposto dalla Fiat.

La differenza con quello che sta avvenendo dall’altra parte del mare dunque la ritroviamo certamente nella diversità e nella specificità dei contesti, ma non possiamo fare a meno di notare che in Italia i soggetti sociali protagonisti degli ultimi due mesi non sono stati in grado di parlarsi realmente. Proviamo infatti a chiederci cosa sarebbe avvenuto se le donne scese in piazza il 13 Febbraio fossero state unite agli operai e alle operaie, e anche ai giovani protagonisti del 14 Dicembre. Chiediamoci quale potrebbe essere l’effetto di una manifestazione in cui tutte queste istanze, unite anche ai migranti e ai movimenti per la difesa dei territori, scendano insieme nelle strade per chiedere in maniera decisa e determinata le dimissioni di questo governo. La realtà infatti ci parla di un Paese in cui è presente la voglia di cambiamento, un cambiamento che però non può essere certamente affidato alla magistratura né tantomeno all’opposizione politica istituzionale, ormai totalmente asservita alle logiche di palazzo, ma che si sviluppi tramite un protagonismo di chi in questi mesi si è effettivamente battuto contro le politiche di questo governo.

La voglia di cambiamento non riguarda solo il governo, la volontà di tutti e tutte coloro che sono scesi nelle strade in questi mesi è forse anche quella di essere finalmente protagonisti del cambiamento, di essere noi stessi, gli studenti, le donne, i migranti, i movimenti territoriali, i lavoratori ad essere agenti diretti del ribaltamento e, perché no, della rivolta di cui questo Paese avrebbe bisogno.

L’inverno è ormai agli sgoccioli, la primavera è il momento del risveglio…

lunedì 14 febbraio 2011

LA RIVOLUZIONE E' POSSIBILE

Le donne rompono gli argini


Una giornata di grande moblitazione da parte delle donne in Italia, in gran parte contro Berlusconi, ma anche per rappresentare bisogni e diritti negati. E a Roma si forma un corteo che arriva a Montecitorio


Flavia D'Angeli
Oggi nelle piazze delle donne, e di tanti uomini, sono emersi finalmente in superficie la rabbia e il malcontento che covano nella società italiana. E' bastato fare un appello alla mobilitazione, peraltro non molto radicale, perché centinaia di migliaia di persone lo raccogliessero come se non aspettassero altro, da tanto, troppo tempo.
La crisi permanente in cui è precipitato il governo Berlusconi, e gli scandali oltre ogni misura che stanno accompagnando quello che ci auguriamo sia un non troppo lento tramonto, hanno fatto da denotatore a un'indignazione che non poteva continuare a essere né negata, come continuano a fare grottescamente gli accoliti del premier, né repressa come ha fatto finora il Partito Democratico, ed in parte anche la direzione della Cgil che si ostina a non “vedere le condizioni” per convocare uno sciopero generale.
E' difficile fare una radiografia a caldo della composizione e degli umori politici delle centinaia di migliaia di persone che sono andate in piazza, è però evidente come una parte significativa di elettorato delle opposizioni, e in particolare del Pd, ha colto l'occasione per manifestare, rompendo gli argini delle timidezze e dei tatticismi dei suoi dirigenti. Accanto a questo, però, si è visto anche un protagonismo di donne che, come il 24 novembre del 2007 nella manifestazione di Roma "contro la violenza" sembra covare nella società italiana in attesa del momento buono per emergere. Un protagonismo denso di rabbia, di voglia di affermare diritti e dignità, magari privo di obiettivi o di una "piattaforma" politica ma comunque desiderso di esserci. E anche dotato di una buona dose di radicalità che ha portato, ad esempio, a un'accoglienza calorosa dell'iniziativa di "attraversamento" di piazza del Popolo messa in campo da diversi collettivi femministi e di movimento della capitale.
Le compagne dei collettivi femministi studenteschi e giovanili, assieme a quelle del centro antiviolenza Donna Lisa e a quelle dei centri sociali, insieme a tante altre femministe, hanno infatti deciso di partecipare alla giornata di mobilitazione (vedi articolo sotto) facendo emergere una denuncia complessiva delle politiche patriarcali e lesive dei diritti delle donne che caratterizzano l'azione di questo governo, e che troppo spesso hanno trovato consenso o scarsa opposizione nelle sinistre moderate.
Rifiutandosi, inoltre, di cadere nella trappola della mobilitazione delle donne "perbene" contro quelle “per male” che pure ha accompagnato, almeno all'inizio, alcuni autorevoli appella alla mobilitazione.
Fin dalla mattina centinaia di donne hanno manifestato davanti al ministero del Welfare in Via Veneto, depositando simbolicamente davanti al portone una serie di pacchi regalo che rappresentavano i doni “non graditi” (e quindi restituiti) che governo e padronato hanno fatto alle donne: legge 40 sulla procreazione assistita, innalzamento dell'età pensionabile, attacchi alla legge 194, tagli al welfare, pacchetto sicurezza e persecuzione della prostituzione di strada ecc.
Il corteo ha poi proseguito fino al Pincio per scendere in Piazza del Popolo al grido di “siamo tutte egiziane, sciopero generale” tra gli applausi delle tantissime donne presenti che non riuscivano più ad entrare in una piazza stracolma. Il corteo delle femministe, quindi, ingrossatosi via via raccogliendo molte donne dentro e fuori la piazza, ha continuato a sfilare per il Lungotevere per arrivare fino a Montecitorio dove, scavalcando le transenne, le donne hanno depositato altri “pacchi-regalo” davanti al portone del Parlamento.
L'enorme successo della giornata di mobilitazione odierna chiede continuità ed un impegno in questo senso ai soggetti sociali, sindacali, politici che hanno animato le piazze, o per lo meno alle sue espressioni più consapevoli e radicali, per mettere in campo, finalmente, un movimento generalizzato di opposizione al governo e alle sue politiche, e che raccolga la crescente rabbia sociale prodotta dalla crisi economica e dal fatto che governo e padronato continuano a farla pagare a lavoratori e lavoratrici. A Susanna Camusso, che parlava dal palco di Piazza del Popolo, bisognerebbe chiedere “se non ora quando...lo sciopero generale?”. A Berlusconi, asserragliato nel palazzo, bisognerebbe dire, come le piazze tunisine ed egiziane, “se non ora, quando...te ne vai a casa?”.
Le piazze di oggi, come quelle degli studenti di dicembre o le urne di Mirafiori piene di No, dicono che nonostante lo stato comatoso della sinistra istituzionale, la società italiana è tutt'altro che pacificata ed è sempre meno disponibile a pagare la loro crisi !

(di Luca Laviola e Lorenzo Attianese) (ANSA) - ROMA, 13 FEB - C'erano solo i turisti a passeggio e una trentina di persone in fila per visitare Montecitorio quando le donne hanno fatto irruzione nella piazza. Almeno duecento, armate solo di slogan e cartelli, sono arrivate fino al portone d'ingresso della Camera dei deputati. Carabinieri e polizia, presi un pò di sorpresa dal blitz festoso, si sono messi rapidamente tra le manifestanti e i tre accessi che si aprono nella facciata. Il blitz di un drappello di partecipanti a 'Se non ora quando?', staccatosi dal raduno del Pincio, è servito per depositare davanti a Montecitorio una decina di pacchi colorati con riferimenti ad alcune leggi volute o minacciate, secondo gli autori, dal governo Berlusconi: quella sull'aborto, quella sulla procreazione assistita, il pacchetto sicurezza, tra le altre. I 'regalì sono stati poggiati a terra sopra uno striscione con la scritta 'Nel Palazzo regna il c...., diamoci un tagliò. Tutto si è svolto in modo pacifico. Le donne, molte vestite di rosso o con oggetti rossi come gli ombrelli - il parapioggia di colore rosso è un simbolo delle escort, a quanto pare - con il supporto di alcuni compagni e di un megafono hanno scandito slogan contro il presidente del Consiglio, chiedendone le dimissioni. Dopo qualche minuto i manifestanti si sono praticamente dileguati, lasciando di nuovo la piazza ai romani e ai turisti e i doni per i parlamentari. Questi ultimi sono stati accatastati dagli agenti vicino a uno degli ingressi della Camera. A quel punto però è scattato l'allarme per possibili, analoghi blitz. Davanti a palazzo Grazioli, residenza romana del premier, è stata rafforzata la presenza dei carabinieri. Ma l'unica emozione l'ha data un gruppo di boyscout vocianti che da piazza Venezia, a un centinaio di metri di distanza, urlando ha percorso via del Plebiscito diretti alla casa di Silvio Berlusconi. Per qualche secondo si è pensato che potessero essere altri partecipanti alla manifestazione pronti a un nuovo assalto pacifico. Invece erano una decina di bambini di 10-12 anni, probabilmente stranieri, che gridavano i loro motti. La colonna di piccoli pionieri ha svoltato per una traversa laterale giusto di fianco a palazzo Grazioli. E anche i carabinieri hanno riso mentre un ragazza in bicicletta sfrecciando lì vicino, gridava loro «bunga bunga».

sabato 12 febbraio 2011

IL VERO SCANDALO E' IL SESSISMO


Una mobilitazione di DONNE contro Berlusconi poteva essere davvero una grande occasione. Più di qualsiasi altra parte politica, l'universo berlusconiano e leghista rende visibile l'uso che si può fare del SESSISMO e del RAZZISMO contro il lavoro subalterno, contro i suoi diritti e le sue conquiste. Il lavoro di donne e immigrati è stato utilizzato per ampliare l'area della precarietà e abbassare il livello di salari e diritti. Ma di questo stato di cose né le donne né gli immigrati sono responsabili. Lo sono invece il sessismo e il razzismo che spesso albergano negli stessi lavoratori di sesso maschile e di nascita e origine italiana. Come agisca il razzismo molte e molti lo sanno, mentre la parola sessismo resta un vocabolo in gran parte sconosciuto.

Noi non manifestiamo per una questione di SESSUALITA', non condividiamo l'impostazione moralistica degli appelli che hanno preparato e lanciato questa manifestazione. L'accoglienza calorosa alle parole del Cardinal Bertone e l'appello alle donne perbene, che fa delle escort il capro espiatorio non ci sono piaciuti. Non abbiamo condiviso il silenzio su tutti gli altri aspetti del sessismo di questo governo, che non sia quello della compravendita di donne. Come al solito l'opposizione parlamentare ha preferito l'alleanza con notabili di partito che alla manifestazione non porteranno che se stessi, all'alleanza con la grande maggioranza delle donne, che quotidianamente sperimentano che cosa significhi essere lavoro salariato femminile.
Noi manifestiamo contro il SESSISMO e l'uso che ne viene fatto per rendere più difficile la vita di chi lavora o cerca lavoro e non lo trova. Delle donne prima di tutto, ma non solo delle donne.

Eppure c'è materia per una resa dei conti. Il governo di destra in maniera esemplare coniuga l'ossequio all' INTEGRALISMO CATTOLICO con quello ai DOGMI del MERCATO con il risultato di rendere più precaria e meno libera la vita delle donne, di moltissime donne, di quasi tutte le donne. La legge 40 contro la fecondazione assistita, il rifiuto di riconoscere diritti a gay-lesbiche-trans, i ripetuti attacchi alla legge sull'aborto e alla sperimentazione e diffusione della pillola 486 in nome della maternità e della famiglia si accompagnano paradossalmente a una perdita di prospettive e diritti che rendono ogni libera scelta di maternità difficilissima o quasi impossibile. E' stata per esempio cancellata la legge che impediva la pratica delle DIMISSIONI IN BIANCO, che consente di licenziare le donne in gravidanza; è stata aumentata di ben 5 anni l' ETA' PENSIONABILE delle lavoratrici del pubblico impiego; si sono diffusi anche per le donne i TURNI di NOTTE; si è estesa la pratica del LAVORO PRECARIO o addirittura GRATUITO, che non consente a ragazze e ragazzi di fare progetti per il loro futuro.

Viene davvero da chiedersi: se non ora, quando? Quando tutta questa materia diventerà consapevolezza generalizzata, organizzazione e lotta? Queste domande interrogano i settori di donne che non hanno condiviso gli appelli e la politica del partito che oggi cavalca il malessere di tante per indirizzarlo nel vicolo cieco della dignità femminile offesa dalle ragazze che “si mettono in fila per il bunga-bunga”. Noi che cosa sappiamo fare di diverso e che abbia un minimo di incidenza ed efficacia?

La manifestazione del 13 può essere un'occasione per riprendere i contatti e le relazioni perdute, non solo, ma anche per prenderne di nuovi perché vi partecipano in tutta Italia molte migliaia di donne che nulla sanno degli appelli e sono mosse solo dall'esigenza di esprimere in qualche modo il loro disagio per lo stato di cose esistente, utilizzando gli strumenti che hanno a disposizione. Perché non proviamo noi a costruire questi strumenti ?

PER L'AUTORGANIZZAZIONE DELLE DONNE
CONTRO IL SESSISMO DELLA POLITICA TUTTA
PER RESTITUIRE A DONNE E UOMINI UN FUTURO

martedì 8 febbraio 2011

LA VERITA’ VIENE SEMPRE A GALLA



La dichiarazione di Marchionne di voler portare la Fiat in America ha confermato quello che era chiaro da tempo e che solo i ciechi e gli ipocriti non volevano vedere: che non esiste più la vecchia azienda italiana e che gli Agnelli guardano altrove per continuare a fare soldi.
Nello stesso tempo le parole di Marchionne hanno messo in mutande tutti quelli, sindacati complici, dirigenti del centro destra e del centrosinistra, amministratori locali che avevano invitato i lavoratori ad accettare il ricatto della Fiat, spiegando che lavorare da schiavi è moderno ed innovativo.
Niente sindacato, niente lotta di classe a disturbare l'arricchimento di padroni, manager, azionisti, banchieri, nelle loro ville, nelle loro isole felici a fare il ... bene del Paese.
Costoro ora balbettano, chiedono chiarimenti al loro capo….
Vergognosi!!!!!

Per fortuna tantissimi lavoratori di Pomigliano e Mirafiori hanno tirato fuori l’orgoglio e la forza per dire No, per non subire ancora. E con lo sciopero del 28 gennaio le fabbriche si sono svuotate e le piazze di tutto il paese si sono riempite di lavoratrici, lavoratori, non solo metalmeccanici, ma anche di tanti altri settori, di giovani, di studenti, per difendere i diritti e il contratto nazionale di lavoro, per rivendicare salari e condizioni di lavoro decenti.

La crisi economica che per noi vuol dire meno soldi in busta paga, cassa integrazione, paura di perdere il lavoro, è utilizzata dai padroni per aumentare la loro ricchezza. Con la scusa della concorrenza ricattano per costringerci a ritmi di lavoro e orari che rovinano la nostra salute e tolgono tempo alla nostra vita e ai nostri affetti. Per questo vogliono trasferire in tutte le aziende il modello Marchionne, partendo naturalmente dall’indotto auto.

Non possiamo fermarci alla giornata del 28, la battaglia deve continuare, bisogna far saltare l’accordo della Fiat coi sindacati complici, unire nella lotta tutte le lavoratrici e lavoratori, pretendere e costruire le condizioni di uno sciopero generale che possa fermare realmente Marchionne, la Confindustria e il governo Berlusconi.

L’unità dei lavoratori è necessaria per imporre un intervento pubblico a difesa di occupazione e salari, una politica industriale che progetti una mobilità sostenibile compatibile con l'ambiente, definisca i prodotti necessari e ripartisca il lavoro in tutti gli stabilimenti.
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Abbiamo nuovi motivi di speranza per avere fiducia nella lotta dei lavoratori: a pochi chilometri da noi, in Tunisia, in Egitto e in altri paesi arabi, lavoratori e lavoratrici, disoccupati e studenti stanno cacciando regimi oppressivi, sostenuti dal nostro governo e dai nostri industriali per i buoni affari che da sempre fanno con i dittatori.
Se i nostri padroni sono preoccupati delle battaglie sociali e democratiche delle popolazioni arabe, noi invece dobbiamo essere pienamente solidali con la lotta dei lavoratori e dei sindacati tunisini e egiziani contro i regimi antidemocratici e contro le multinazionali e le loro aziende che ricercano il massimo sfruttamento della classe operaia su entrambe le rive del Mediterraneo.

giovedì 3 febbraio 2011

Crisi e caduta dei despoti


Quello che sta accadendo in Nordafrica, con le rivolte di Tunisia e Egitto, assomiglia a un 1848 arabo


Tariq Ali
da il manifesto
Non può più restare, perché i militari hanno dichiarato che non apriranno il fuoco sul loro stesso popolo e questo esclude l'opzione Tien an men. Se i generali (che finora hanno sostenuto il regime) si rimangiassero la parola, spaccherebbero l'esercito aprendo la prospettiva di una guerra civile. Nessuno la vuole, al momento, nemmeno gli israeliani i quali vorrebbero che i loro amici americani sostenessero il loro uomo al Cairo più a lungo che si può. Ma anche questo è impossibile. Mubarak se ne andrà questo weekend o il prossimo? Washington vuole una «transizione ordinata» ma le mani di Suleiman lo Spettro (o Sceicco Al-Torture, come lo chiamano alcune delle sue vittime), il vicepresidente che Mubarak è stato forzato ad accettare, anch'esse sono macchiate di sangue. Sostituire un torturatore corrotto con un altro non è più accettabile, le masse egiziane vogliono un totale cambio di regime, non un'operazione stile Pakistan in cui un imbroglione civile sostituisce un dittatore militare e nulla cambia.

Il virus tunisino si è diffuso molto più rapidamente di quanto chiunque immaginava. Dopo un lungo sonno indotto dalle sconfitte - militari, politiche, morali - la nazione araba si sta risvegliando. La Tunisia ha impattato immediatamente sulla vicina Algeria, quel sentimento ha valicato i confini della Giordania e ha raggiunto il Cairo in una settimana. Ciò di cui siamo testimoni è un'ondata di rivolta nazional-democratica, che ricorda più le ribellioni che nel 1848 investirono l'Europa - contro lo Zar, l'Imperatore e chiunque collaborasse con loro - e annunciarono le turbolenze successive. Questo è il 1848 arabo. Oggi lo zar-imperatore è il presidente della Casa Bianca. Questo è ciò che differenzia queste proto-rivoluzioni dall'affare del 1989: questo e il fatto che, con poche eccezioni, le masse non si sono mobilitate allo stesso modo. Gli europei dell'est si sdraiarono davanti all'Occidente, immaginando in questo un futuro felice e cantando «prendeteci, prendeteci, adesso siamo vostri».

Le masse arabe vogliono sciogliersi da questo sgradevole abbraccio. Stati Uniti e Unione europea hanno supportato le dittature di cui stanno cercando di liberarsi. Queste sono rivolte contro l'universo della miseria permanente, contro un'élite accecata dal suo stesso benessere, dalla corruzione, dalla disoccupazione di massa, dalla tortura, dal giogo dell'Occidente. La riscoperta di una solidarietà araba contro queste repellenti dittature e chi le sostiene è un punto di svolta in Medio Oriente. Si rinnova la memoria storica di una nazione araba che fu brutalmente distrutta subito dopo la guerra del 1967. Il contrasto in termini di leadership non potrebbe essere più evidente. Nonostante le sue debolezze e i suoi molti errori, Gamal Abdel Nasser vide la sconfitta del 1967 come qualcosa di cui doveva accettare la responsabilità. Si dimise. Oltre un milione di egiziani si riversarono nel cuore del Cairo per scongiurarlo di restare al potere. E gli fecero cambiare idea. Morì in carica pochi anni più tardi, piegato e senza soldi. Il suo successore cedette il paese a Washington e a Tel Aviv per un piatto di lenticchie.

Gli eventi dell'ultimo mese segnano il primo vero revival del mondo arabo dalla sconfitta del 1967. Le banderuole eternamente all'erta per non capitare mai dalla parte sbagliata della storia, e di conseguenza evitare di sperimentare la sconfitta, sono state colte di sorpresa dalle rivolte. Hanno dimenticato che rivolte e rivoluzioni, modellate dalle circostanze esistenti, accadono quando le masse, le folle, le cittadinanze - chiamatele come volete - decidono che la vita è insopportabile e che non saranno soffocate oltre. Per loro un'infanzia miserabile o un'ingiustizia sono fenomeni naturali come un calcio in faccia per la strada o un brutale interrogatorio dentro una prigione. Ne hanno fatto esperienza, ma se le condizioni continuano ad essere le stesse, diventati adulti si affievolisce in loro la paura di morire. Quando si è raggiunto questo livello, una sola scintilla basta a incendiare l'intera prateria. In questo caso letteralmente, come dimostra la tragedia del piccolo negoziante che si è dato fuoco a Tunisi.
Siamo all'inizio del cambiamento. Le masse arabe non sono state annientate con la forza, questa volta, e non soccomberanno. Cosa offrirà a questa gente chi rimpiazzerà i despoti a Tunisi e al Cairo? La democrazia, da sola, non può nutrirli e dar loro un lavoro...