sabato 24 marzo 2012

I 18 punti che Fornero non ha spiegato

Doveva essere l'ultimo punto della riforma e invece l'articolo 18 è l'elemento regolatore dell'iniziativa del governo. Ecco quindi che abbiamo selezionato 18 domande che aiutano a spiegare le modifiche in programma.


Salvatore Cannavò

Da Il Fatto quotidiano



1) E' vero che l'articolo 18 varrà per tutti?

Il governo dice che è esteso anche alle aziende con meno di 15 dipendenti la regolamentazione del cosiddetto licenziamento discriminatorio determinato “da ragioni di credo politico o fede religiosa, dell'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacabili” o per “discriminazione sindacale, politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull'orientamento sessuale”. In questi casi il licenziamento è nullo, cio

è è come se non fosse mai esistito e, in forza dell'articolo 18, si viene reintegrati al posto di lavoro. Ma la sua applicabilità per tutti i lavoratori a prescindere dal numero dei dipendenti di una determinata azienda era stata già stabilita dalla legge 108 del 1990



2) Ma è possibile che un licenziamento discriminatorio venga camuffato da licenziamento economico o disciplinare?

E' quello che avviene nella maggiorparte dei casi. L'impresa, ad esempio, dichiara di avere esubero di personale, o riduzione dl fatturato, e licenzia quel lavoratore o quella lavoratrice che a suo giudizio non rende abbastanza o magari è troppo vicina al sindacato o altro ancora. Può succedere che quel posto di lavoro soppresso venga successivamente offerto a un altro dipendente. Se il lavoratore licenziato, a regime attuale, fa ricorso contro il licenziamento ingiustificato – perché in effetti il posto di lavoro è occupato da altri – e vince viene reintegrato con il pagamento degli stipendi arretrati. Con le norme del governo Monti, invece, se ottiene soddisfazione dal giudice al massimo beneficierà di indennizzo compreso tra le 15 e le 27 mensilità.



3) Ma c'è anche una terza gamma di licenziamenti, quella disciplinare. Cosa vuol dire?

Si tratta di quei licenziamenti definiti per giustificato motivo soggettivo e/o per giusta causa, riconducibili a presunti inadempimenti contrattuali o comportamenti illeciti del lavoratore.
 Attualmente il giudice, ove ritenga che i fatti addebitati siano inesistenti, ovvero che il licenziamento sia una sanzione non proporzionata all’infrazione, nelle aziende con più di 15 dipendenti ordina la reintegrazione, mentre in quelle con meno di 16 condanna ad un’indennità non superiore alle 6 mensilità.
 Da domani, invece, il giudice potrà scegliere tra reintegro e indennizzo, in questo caso compreso tra le 15 e le 24 mensilità.



4) Che vuole dire "modello tedesco"?

E' esattamente questo, la possibilità che sia il giudice a scegliere tra reintegro e indennizzo. Vale per i licenziamenti "disciplinari" ma non vale per quelli "economici". Ed è su questo che si concentrerà la richiesta del Pd e, in parte, della Cgil



5) L'articolo 18 quindi resiste o è di fatto cancellato?

Resiste sul piano astratto e di principio ma di fatto viene sostanzialmente cancellato.



6) Non basta la tutela dell'indennizzo?

Nessuno procede a un licenziamento per ragioni discriminatorie ma si procede per via “economica” o “disciplinare”. E' il reintegro, che, va ricordato, è l'unica norma stabilita dall'articolo 18, è il contrasto più efficace a disposizione dei lavoratori.



7) Ma che vantaggio hanno i precari dall'articolo 18?

In caso di contenzioso con il datore di lavoro, per vedersi riconosciuto un legittimo contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, questi beneficierebbero in caso di vittoria dell'articolo 18 e questo aumenta il loro potere contrattuale.



8) Il governo dice che invece riequilibra il mercato del lavoro tra giovani e vecchi.

All'inizio della trattativa sembra fosse così. Si ricorderà l'enfasi che è stata messa sulle proposte di Pietro Ichino o Tito Boeri, entrambi propugnatori di un “contratto unico” sia pure con tipologie diverse. Nella riforma il contratto “unico” non c'è e non c'è nemmeno la soppressione delle circa 46 tipologie contrattuali diversi attualmente esistenti. Non c'è nessun ingresso stabile e ordinato nel mercato del lavoro, magari con un diritto in meno. Si entra come prima solo che in alcuni casi si può beneficiare di qualche vantaggio.



9) Le modifiche cambiano qualcosa per gli statali?

Secondo il Dipartimento della Funzione pubblica si, in caso di licenziamento ingiustificato, il reintegro sarebbe assicurato solo in caso di licenziamento discriminatorio. Per i licenziamenti per motivi economici che risultassero illegittimi, al lavoratore andrebbe solo un indennizzo economico. I sindacati però, tutti, contestano questa interpretazione perché l'articolo 18, rinnovato, si applicherà solo ai dipendenti del settore privato.



10) Quali sono i vantaggi della riforma?

Si prevedono una serie di vincoli e controlli sui contratti atipici: il contratto a progetto deve avere un “progetto” definito che lo faccia rifuggire dalla prestazione di lavoro subordinato. In particolare le Partite Iva se esercitano la prestazione presso il committente – cioè sono di fatto lavoro subordinato – dopo sei mesi vanno regolarizzate. Scompare l'Associazione in partecipazione – cioè le commesse dei negozi “socie” del loro titolare per aggirare i contributi e le tasse – che sarà riservata solo a genitori e figli. Sicuramente utile è l'aliquota dell'1,4 per cento che i contratti a tempo determinato dovranno pagare in più rispetto a quelli a tempo indeterminato. Sono rafforzativi ma non una riforma in senso proprio e sono tutte misure facilmente aggirabili.



11) Quindi i precari saranno più tutelati?

E' utile aver stabilito che un contratto “precario” reiterato per 36 mesi consecutivi, compresi anche i periodi di vacanza tra un rapporto e l'altro, presso lo stesso datore di lavoro devono essere stabilizzati. Lo fece anche il governo Prodi nel 2007. Ma è comunque una misura aggirabile.



12) E per chi è in mobilità?

La mobilità è destinata a scomparire dal 2017 ma nel periodo transitorio ci sarà una tutela decrescente per i lavoratori sopra i 49 e 55 anni che accompagni le norme attuali verso quelle future. Oggi la mobilità copre fino a 48 mesi mentre la nuova protezione sociale, l'Aspi, arriva al massimo a 18 mesi per i lavoratori sopra i 54 anni.



13) Non c'è il rischio che tanti lavoratori anziani, dopo l'innalzamento della pensione, restino senza lavoro e senza reddito?

Questo è il rischio più paventato dai sindacati. Il governo vuole istituire un Fondo per i lavoratori anziani che sarà pagato dalle aziende e dovrebbe fornire un sussidio su base assicurativa. L'aliquota contributiva individuata è dello 0,5 per cento.



14) Che differenza c'è tra l'Aspi e la disoccupazione e la Cassa integrazione?

Il nuovo modello prevede sostanzialmente due gambe: Cassa integrazione e Aspi. La prima accompagna coloro miliardiche mantengono il posto di lavoro e resta come quella attuale tranne nel caso della Cassa integrazione straordinaria per cessata attività che viene abolita. L'Aspi tutelerà i dipendenti del settore privato e i pubblici con contratto a tempo determinato ma anche gli apprendisti e gli artisti. Per beneficiarne occorrerà aver versato contributi per 52 settimane negli ultimi due anni, quindi è difficile che ne possano godere i tanti lavoratori precari soprattutto se saltuari.



15) Quanto ha stanziato il governo?

Su questo finora non ci sono stati chiarimenti. Le indiscrezioni parlano di 1,7-1,8 miliardi che Fornero assicura siano stati già reperiti. Sono meno di quanto previsto (2) e non è chiaro soprattutto quanto sia la spesa complessiva finale. Oggi per ammortizzatori sociali si spendono più di 20 miliardi di euro.



16) Cosa cambia per gli stagisti?

Dopo la laurea o dopo un master, se si va in azienda non lo si farà con uno stage gratuito, ma occorre attivare una collaborazione o un lavoro a tempo determinato. L'obiettivo del governo è eliminare gli stage gratuiti e pagare il lavoro svolto.



17) E' vero che scompare la norma sulla dimissioni in bianco?

Sì, è prevista una norma di questo tipo contro le dimissioni firmate in bianco al momento dell'assunzione soprattutto da lavoratrici. E' un modo in cui l'azienda si tutela contro le possibili maternità.



18) I precari potranno impugnare i contratti contestati in termini più agevoli?

E' l'intenzione annunciata dal ministro Fornero, elmiminare l'onere di impugnazione stragiudiziale (con un conciliatore esterno) entro 60 giorni dalla cessazione del contratto stesso. Un termine troppo stretto che esponeva un lavoratore precario a una rottura troppo rapida con il datore di lavoro oppure a rinunciare a far valere i propri diritti. Allo stesso tempo, il termine per ricorrere in giudizio è ridotto da 330 a 270 giorni

La Cgil all'angolo costretta ad attaccare




Il sindacato di Camusso reagisce alla riforma dell'articolo 18 con lo sciopero generale. Ma nel suo direttivo nazionale non difende più il provvedimento "così com'è" bensì punta al "modello tedesco"

Salvatore Cannavò

Da Il Fatto quotidiano



La Cgil è costretta a salire di nuovo sulle barricate. La determinazione di Monti a modificare strutturalmente l'articolo 18 e ad affossare la concertazione hanno lasciato il sindacato di Susanna Camusso senza sponde. E per il momento a prevalere è il sindacato di lotta. Dal Direttivo nazionale riunito ieri per tutta la giornata vengono fuori ben 16 ore di sciopero, 8 per le assemblee e altre otto in un'unica giornata da decidere in relazione all'iter parlamentare; assemblee ovunque, una petizione per raccogliere milioni di firme, una campagna nazionale a tappeto. La Cgil si mette pancia a terra per raggiungere un solo obiettivo, illustrato da Susanna Camusso: “La riconquista del reintegro”. Perché la riforma “colpisce i lavoratori” e il governo è interessato a inviare un solo messaggio: “In Italia si può licenziare”. Dieci anni fa – la ricorrenza è domani, 23 marzo – lo stesso sindacato portò a Roma, al Circo Massimo, circa tre milioni di persone e il segretario di allora, Sergio Cofferati, bloccò il tentativo del governo Berlusconi – il ministro era Roberto Maroni – di modificare l'articolo 18. Quella riforma era più blanda di quella avanzata da Monti ma oggi la Cgil non sembra avere la forza di allora anche se la rabbia per lo smacco subito è evidente. “Sull'articolo 18, continua Camusso, Monti non ha mai voluto mediare” ma questa riforma “non porterà nemmeno un posto di lavoro in più”. E dunque ci si prepara a una fase di scontro per cercare di rientrare in gioco.



Ma, contestualmente al profilo di lotta, la Cgil ha anche un'anima trattativista e la prospettiva di finire all'angolo in compagnia della sola Fiom – che ieri ha definito “una follia” la cancellazione dell'articolo 18 dicendosi “pronta a tutto” – non piace a molti. Ed ecco che nello stesso direttivo delle 16 ore di sciopero si è sviluppata una accesa discussione sull'obiettivo di questo sciopero. Difendere l'attuale norma dello Statuto dei lavoratori al grido di “l'articolo 18 non si tocca” oppure cambiare le scelte del governo e cercare di attestarsi su una formulazione almeno migliorativa di quella proposta da Monti e Fornero? Nella sua relazione, il segretario confederale Fulvio Fammoni ha proposto la seconda soluzione facendo capire che sarebbe un risultato ottenere anche per il licenziamento economico l'opzione tra reintegro e indennizzo stabilita dal giudice. E il segretario dei Chimici, Alberto Morselli è stato più chiaro: "Serve una proposta della Cgil da portare al tavolo già domani (oggi, ndr). Una proposta che risulterebbe comunque utile anche al confronto parlamentare”. La questione, alla fine, resta quella del delicatissimo rapporto con il Pd. In conferenza stampa Camusso non ha voluto dire nulla sul partito di Bersani: “E' già faticoso dire che cosa facciamo noi, non possiamo caricarci di cosa deve fare il Pd”. In realtà i due soggetti sono intrecciati perché Bersani ha bisogno ancora di un appiglio per cercare di difendere in Parlamento la possibilità di un “miglioramento” della riforma non tanto per convincere Monti ma per convincere il suo stesso partito. Ma su questo punto si è scatenato un fuoco di fila di interventi contrari: la sinistra di Cremaschi e Rinaldini, naturalmente Landini, la Funzione pubblica di Rossana Dettori, la Cgil di Torino, quella emiliana, i Trasporti e in particolare la Scuola con Mimmo Pantaleo.



Alla fine Maurizio Landini e Nicola Nicolosi (della maggioranza) si vedono respingere con 30 voti a favore contro 73 un emendamento che chiede di difendere l'articolo 18 così com'è. Il documento finale viene approvato con 95 voti a favore 13 astenuti e 2 contrari (l'area di Cremaschi) un risultato comunque apprezzato dalla maggioranza che decide di investire su una mobilitazione che “ricostruisca la deterrenza” dell'articolo 18 e quindi provi a riconquistare la reintegra. Potrebbe essere il “modello tedesco” che lascia al giudice la possibilità di scegliere tra indennizzo e reintegro. A lasciare aperta la possibilità di una trattativa ancora da completare è anche la Uil che ha tenuto ieri la sua direzione nazionale lasciando “sospeso” il giudizio sulla riforma in attesa di alcune modifiche. In particolare la possibilità per le rappresentanze sindacali di intervenire sui motivi che stanno alla base dei licenziamenti economici. Non è la possibilità del reintegro che chiede la Cgil ma lascia spazio per una dialettica con il Parlamento. Anche Bonanni dice che il Parlamento “può migliorare” le norme e che “se il Parlamento ci chiede una mano gliela diamo”. Insomma, Cgil e Pd cercheranno di aiutarsi l'un l'altra ma non è detto che riescano a farlo. Per ora non resta che la lotta.

martedì 20 marzo 2012

Là dove non riuscì Berlusconi

Monti cancella l'articolo 18. La Cgil dice no ma rimane sola. La parola ora passa al Parlamento e quindi anche al Pd. Contro la precarietà c'è poco o niente






Alla fine il governo ha scelto la linea dura: riforma pesante dell'articolo 18 con l'eliminazione sostanziale del diritto al reintegro nel caso dei licenziamenti economici. Monti lo ha comunicato piuttosto soddisfatto al termine del vertice a Palazzo Chigi sottolineando che per il governo “la questione è chiusa” e che sul testo c'è “l'accordo di massima di tutte le parti sociali tranne la Cgil”. Ma la linea dura si accompagna anche a un espediente negoziale basato sul rinvio a giovedì e sulla firma di un “verbale conclusivo” che consente al governo di raggiungere due obiettivi: finirla con la concertazione cioè con gli accordi e i patti limati fino all'ultima virgola e all'ultimo momento e, allo stesso tempo, mantenere aperta ancora un minimo di discussione. Dopo l'incontro di ieri, infatti, le parti si ritroveranno giovedì prossimo, dopo il direttivo della Cgil e la direzione Uil , non per firmare o meno un documento ma per redigere “un verbale” sulla base del quale stendere le norme che il governo porterà in Parlamento. Quest'ultimo, secondo Monti, resta “l'interlocutore privilegiato” il che significa che non si procederà con un decreto-legge ma probabilmente con una legge-delega (si deciderà “con il Capo dello Stato”, dice Monti). Si tratta di una disponibilità a tenere aperto il dibattito che in realtà creerà problemi solo al Pd e che, invece, soddisfa Cisl e Uil. Il segretario della prima, Bonanni, esulta dice che a lui la riforma “piace” si disponde a strappare ancora dei miglioramenti mentre Luigi Angeletti sostiene che “per dare un giudizio positivo occorrono delle modifiche”. La Cgil, dal canto suo, rimane fuori anche se non è costretta a sancire la spaccatura sindacale con una firma su un documento. Però resta sola e Camusso, nella conferenza stampa finale, non può che attaccare il piano del governo - "è squilibrato" - e annunciare che la Cgil "si metterà alla testa di un movimento" per cambiare le carte. Un annuncio di mobilitazione i cui termini saranno definiti al direttivo.

Di fatto l'articolo 18 sparisce. Rimarrà solo per i licenziamenti “discriminatori”, anzi sarà esteso anche alle imprese sotto i 15 dipendenti. In questo caso ci sarà sempre il reintegro.Ma per i licenziamenti più diffusi, quelli economici, non ci sarà più il reintegro ma solo un indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità dell'ultima retribuzione (che però sembrano troppe al rappresentante delle piccole imprese). Per i licenziamenti disciplinari, infine, sarà il giudice a stabilire se l'ingiustificato motivo dia diritto al reintegro (nei casi più gravi) o all'indennizzo fissato al massimo in 27 mensilità (ma non c'è minimo). Nessuna stretta sui contratti atipici, nessuna eliminazione di flessibilità - tranne le associazioni in partecipazione e una stretta sulle partite Iva - e anche l'apprendistato non darà diritto automaticamente alla stabilizzazione. Viene eliminata la norma delle dimissioni in bianco, introdotti i "congedi di paternità" e alle piccole imprese viene tolto l'aggravio dell'1,4 per cento sui contratti a tempo determinato per gli stagionali e i sostitutivi. Ripristinato anche il limite dei 36 mesi per un contratto flessibile oltre il quale diventa indeterminato.

Insomma, in cambio della fine dell'articolo 18 non si ottiene nulla, anche la nuova Assicurazione sociale per l'impiego (Aspi) di fatto sostituisce la disoccupazione ma elimina la mobilità che resta per un periodo transitorio più lungo, fino al 2017, ma poi scompare. E anche la Cassa integrazione rimane intatta nell'ordinaria ma dimagrisce nella straordinaria. Un colpo duro, quindi, che non era riuscito nemmeno al governo Berlusconi.

Sa.Can.

L'articolo 18 al capolinea



Prevedere la sola sanzione economica in luogo della reintegrazione lascia spazio a facili abusi, potendosi “battezzare” come licenziamenti economici anche quelli che trovano invece le loro ragioni altrove.
Alberto Piccinnini*
Cercando di districarsi nella girandola di informazioni che noi comuni mortali ritroviamo nei vari organi di stampa, un primo punto sembra incontroverso: i nemici da sempre dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori ritengono di avere l’opportunità di portare a casa un ricco bottino. Nonostante questo rivelano un’incontenibile avidità che sembrerebbe non farli accontentare neppure di risultati fino a pochi mesi fa assolutamente impensabili. Ma andiamo ad esaminare nel dettaglio le tre fattispecie sulle quali ruotano le più disparate ipotesi di “manutenzione” (= depotenziamento) dell’art. 18.
Licenziamento discriminatorio. Su questo anche i più agguerriti falchi sono disposti a concedere la sopravvivenza della reintegrazione nel posto di lavoro, così come prevista dall’attuale articolo 18. Non si illuda l’ingenuo lettore che si tratti di una generosa concessione: in tutti i Paesi del mondo i comportamenti discriminatori sono sanzionati pesantemente e per quanto riguarda, nello specifico, il licenziamento disciplinare, va detto che in concreto i casi in cui un giudice abbia potuto accertare la natura discriminatoria del recesso sono rarissimi. L’onere di dimostrare l’intento discriminatorio incombe infatti sul lavoratore, che in un atto individuale non può neppure fare ricorso ai dati statistici, utilizzabili invece nelle sole discriminazioni collettive. Bisogna quindi aver la piena consapevolezza che questa “concessione” altro non è che uno specchietto per le allodole.
 Licenziamento disciplinare. Con questo termine si intendono quei licenziamenti che i tecnici definiscono per giustificato motivo soggettivo e/o per giusta causa, riconducibili a presunti inadempimenti contrattuali o comportamenti illeciti del lavoratore. Attualmente il giudice, ove ritenga che i fatti addebitati siano inesistenti, ovvero che il licenziamento sia una sanzione non proporzionata all’infrazione, nelle aziende con più di 15 dipendenti ordina la reintegrazione, mentre in quelle con meno di 16 condanna ad un’indennità non superiore alle 6 mensilità. Due sono le soluzioni “manutentive” che ad oggi risultano prospettate, in caso di accertamento della illegittimità del licenziamento: 1) che sia il giudice a decidere se applicare la reintegrazione o disporre un risarcimento solo economico; 2) che vi sia solo il risarcimento economico. Sulla prima la mia personale opinione, per quanto poco conti, è che non vi sono ragioni collegabili alla crisi economica in atto per una modifica dell’attuale normativa. Ma è la seconda soluzione che desta gravissime preoccupazioni, perché foriera di abusi sfacciati. Per un datore di lavoro, infatti, che si volesse liberare di un dipendente per le più svariate ragioni (ad esempio perché si assenta troppo dal lavoro per sottoporsi a cicli di chemioterapia) basterebbe contestare allo stesso di aver guardato male il caporeparto, licenziarlo per motivi disciplinari (palesemente illegittimi) e investire un piccolo capitale per liberarsi del dipendente “improduttivo”. Licenziamento per motivi economici ed organizzativi.Si chiede con forza una maggiore flessibilità in uscita per queste causali, prospettando falsamente l’attuale impossibilità dell’imprenditore di ridurre il proprio personale in presenza di un calo di ordini, di una contrazione del fatturato e, in genere, per mancanza di lavoro dovuta alla crisi economica. I politici che continuano a sbandierarci questa drammatica situazione gettano solo del fumo negli occhi, in quanto questi licenziamenti già comunemente avvengono nella vigenza dell’art. 18, applicabile, giova ripeterlo, solo ai licenziamenti ingiustificati. La novità che si vorrebbe introdurre, da parte di alcuni, è quella dell’automatica applicazione di una sanzione economica, in sostituzione della reintegrazione: soluzione che avrebbe il vantaggio – per il datore di lavoro – di poter preventivare in linea di massima i costi della riduzione di personale, senza il rischio che le lungaggini di un processo gonfino in maniera esorbitante il costo di una scelta sbagliata. Essa, tuttavia, inevitabilmente comporta un’equiparazione tra i licenziamenti giustificati e quelli ingiustificati, tramutandosi per entrambi, nella sostanza, in un allungamento dell’indennità sostitutiva del preavviso. Per questo l’ipotesi trova voci di dissenso persino nel fronte imprenditoriale, laddove si evidenzia che, in una situazione di crisi, aumenterebbero i costi, rispetto all’attuale normativa, anche per i licenziamenti giustificati. Anche qui però vale quanto detto per i licenziamenti disciplinari: prevedere la sola sanzione economica in luogo della reintegrazione lascia spazio a facili abusi, potendosi “battezzare” come licenziamenti economici anche quelli che trovano invece le loro ragioni altrove. Consentendo invece al giudice di verificare la genuinità della motivazione economica addotta (senza ovviamente entrare nel merito della scelta imprenditoriale, come peraltro è già oggi), l’accertamento della insussistenza di valide ragioni “economiche” trasformerebbe il licenziamento in qualcosa di diverso, che non si vede perché non debba essere sanzionato con la reintegrazione. E’ quindi assolutamente indispensabile che intervenendo – come ormai pare inevitabile – su questa fattispecie, il legislatore non sottragga al giudice la possibilità di esaminare la legittimità dell’atto del datore applicando, se necessario, l’articolo 18. * Avvocato del lavoro

venerdì 2 marzo 2012

IL DEBITO, QUESTO SCONOSCIUTO !?


Il peso del debito è utilizzato in tutti i paesi per
giustificare feroci politiche di austerità: riduzione delle
spese sociali, riduzione delle pensioni e degli stipendi
pubblici, aumento della flessibilità del lavoro,
privatizzazione di settori come l’acqua, l’energia, i
trasporti, la salute e la scuola, riduzione delle sovvenzioni
ai ceti più disagiati, giro di vite su stipendi e salari.
E il governo Monti, in piena continuità col governo
precedente, è in prima fila nel praticare queste
politiche.
La povera Grecia è
stata presa come cavia per imporre un vero e proprio
massacro sociale e la perdita della stessa democrazia e
sovranità; la finalità è di salvare le banche e i loro profitti.
Si afferma una Europa ingiusta, quella dei padroni e delle
crescenti disuguaglianze.
Non possiamo accettarlo. Non dobbiamo lasciare il nostro
futuro nella mani di una nuova aristocrazia (la cosiddetta
debitocrazia) avida e sfruttatrice. Il debito illegittimo non
deve essere pagato.
Vogliamo invece costruire una alternativa: un’Europa
solidale, di diritti per lavoratrici e lavoratori, di giustizia
sociale.
Per discutere di questi temi a partire dal libro
“Debitocrazia” delle Edizioni Alegre
Assemblea pubblica
Martedì 6 marzo ore 21
Sala della circoscrizione di corso Belgio n. 91
con
Alessandra Algostino
docente di diritto costituzionale Università di Torino
Pietro Passarino del Comitato No debito
Roberto Firenze di Sinistra Critica

giovedì 1 marzo 2012

SIAMO TUTT@ NO TAV!



Dopo gli arresti, le denunce e le cariche ieri mattina la repressione contro il movimento No Tav ha raggiunto il suo picco più elevato. Luca Abbà , uno degli attivisti più noti e proprietario di uno dei terreni da espropiare, è attualmente ricoverato al Cto di Torino. Luca era salito su un traliccio dell'alta tensione, inseguito dai gloriosi “Cacciatori di Calabria”, una specie aggressiva di carabinieri, è stato obbligato a salire più in alto ed è caduto da una decina di metri dopo essere stato folgorato. Tutto questo è avvenuto poco dopo che la polizia in assetto antisommossa è uscita dalle reti ed ha circondato la Baita Clarea intimando ai No Tav di andarsene.

La repressione contro il movimento No Tav è ormai parte integrante della strategia di questo governo. E’ evidente che lo “stato di eccezione” in cui più volte viene inquadrato l’agire del governo Monti comprende in primis l’esercizio senza limiti della repressione dei movimenti e in particolare di un movimento, come quello della No Tav, che sta opponendo una resistenza efficace al progetto di distruzione del proprio territorio e che, soprattutto, gode di un consenso ampio non solo in Val di Susa ma in tutta Italia, come dimostrano i presidi che sono stati fatti ieri in moltissime città. E ormai evidente che la repressione che si sta attuando in Val di Susa fa parte di una strategia ben precisa di un governo che non tollera nessuna forma di dissenso ed è un chiaro avvertimento per tutti i movimenti e le lotte che hanno nella No Tav un punto di riferimento. Questa stessa strategia è ormai appoggiata dalla maggior parte della stampa che sta innescando una vera e propria guerra mediatica nei confronti del movimento.

Sinistra Critica continuerà ad appoggiare ed a partecipare a tutte le iniziative che verranno promosse da movimento No Tav.

Siamo vicini alla famiglia, agli amici e ai compagn@ di Luca.

Siamo tutt@ No Tav!

Esecutivo Nazionale Sinistra Critica